“L’Italia non accetta ricatti, lo voglio dire molto chiaramente”. Lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Radio 24 parlando del caso dei 18 marittimi siciliani fermati in Libia. “I nostri concittadini devono tornare a casa”, ha sottolineato il ministro.
I pescherecci “Antartide” e “Medinea“ sono stati sequestrati lo scorso primo settembre da militari libici a circa 35 miglia a nord di Bengasi.
Tutti e diciotto i marittimi si troverebbero “ospiti” in una villa mentre i due pescherecci di Mazara del Vallo ormeggiati nel porto della capitale della Cirenaica.
Secondo alcuni organi di stampa i marinai siciliani sarebbero finiti al centro di una piccola crisi internazionale con risvolti giudiziari: la marina legata all’esercito del generale Khalifa Haftar che controlla la zona di Bengasi ha avuto ordine dal comando generale, cioè dal generale Haftar, di non rilasciare i pescatori italiani fino a quando 4 calciatori libici imprigionati in Italia non saranno liberati. Ma su di loro pende una condanna a 30 anni di carcere per traffico di migranti. Per mesi le loro famiglie in Libia hanno chiesto la libertà, sostenendo che erano soltanto calciatori, atleti che volevano fuggire in Europa. Giovedì scorso donne, uomini, bambine e bambini si sono presentati al porto di Bengasi con fotografie e cartelloni: “Liberate gli atleti libici: sono calciatori, non trafficanti”.
Le autorità di Bengasi avrebbero proposto all’Italia uno “scambio”, i pescatori contro i “calciatori”. I 4 giovani libici furono arrestati in Sicilia nel 2015: vennero condannati dalla Corte d’assise di Catania e poi dalla Corte d’appello, con l’accusa di avere fatto parte del gruppo di scafisti responsabili della cosiddetta “Strage di Ferragosto” in cui morirono 49 migranti.
Si chiamano Joma Tarek Laamami, di 24 anni, Abdelkarim Al Hamad di 23 anni, Mohannad Jarkess, di 25 anni, Abd Arahman Abd Al Monsiff di 23 anni. Secondo i migranti con cui viaggiavano, la notte della “Strage” con “calci, bastonate e cinghiate” i quattro avrebbero bloccato molti nella stiva dell’imbarcazione. La loro versione era che si erano imbarcati anche loro per fuggire dalla Libia, e che i veri trafficanti avevano ridotto loro il prezzo del passaggio purché si occupassero di pilotare le barche.
Due giorni fa, Leonardo Gancitano e Marco Marrone, armatori dei due pescherecci hanno dichiarato: “Se entro qualche giorno non si troverà una soluzione ci recheremo a Roma con le famiglie dei pescatori per far sentire ancor di più la nostra voce al Governo Italiano”.
(foto di repertorio)
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