“Fu Francesco Messina Denaro, defunto padre di Matteo, a darmi l’incarico di uccidere, nel 1991, l’allora procuratore di Marsala Paolo Borsellino. Un incarico del quale io, inizialmente, ero orgoglioso. Ero una testa calda, allora, ero latitante da un anno e mezzo, ma quando Antonio Vaccarino mi disse che poi sarei dovuto fuggire in Australia e su un biglietto mi scrisse a chi dovevo rivolgermi laggiù, mi è scattato qualcosa dentro…”.
A raccontarlo è il pentito Vincenzo Calcara, le cui dichiarazioni, nel maggio del 1992, condussero all’arresto dell’ex sindaco Dc di Castelvetrano Antonio Vaccarino. Quest’ultimo è stato nuovamente arrestato martedì scorso insieme al tenente colonnello dei carabinieri Marco Zappalà, in servizio alla Dia, e dell’appuntato Giuseppe Barcellona.
I reati contestati ai due militari sono rivelazione di notizie riservate e accesso abusivo a sistema informatico; Vaccarino è accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.
Calcara, anche lui di Castelvetrano come il boss latitante Matteo Messina Denaro, spiega perchè decise di non eseguire
quell’ordine di morte: “Mi sono detto: questi si vogliono liberare di me. Poi, per fortuna, mi hanno arrestato e ho
incontrato Borsellino, al quale ho raccontato tutto. Lui mi fece uscire dal carcere, dove sarei stato ucciso per avere
disobbedito agli ordini del capomafia, e mi salvò la vita. Ci siamo salvati a vicenda”.
Dopo essere stato arrestato nell’operazione “Palma”, Vaccarino fu condannato dal Tribunale di Marsala a 18 anni di
carcere per associazione mafiosa e traffico di droga. Ma in appello, gli furono inflitti soltanto sei anni per traffico di
droga. “Su quel biglietto che mi consegnò – spiega Calcara – dove erano scritti i nomi delle persone a cui in Australia mi
sarei dovuto rivolgere dopo avere ucciso il procuratore di Marsala, Paolo Borsellino fece effettuare delle perizie che
dimostrarono che quella era proprio la calligrafia di Vaccarino”.