Francesco Averna, alias Matteo Messina Denaro, conduceva una vita all’insegna del lusso, tra champagne pregiate e orologi di marca come il Frank Muller Geneve Color Dreams. Come riportato dal Giornale di Sicilia, la sua passione per la buona tavola emergeva chiaramente dalle spese mensili che raggiungevano i ventimila euro, destinate a riempire frigorifero e dispensa con prelibatezze gastronomiche. Tra le sue mete preferite, una rinomata salumeria palermitana situata nella zona di via Libertà, specializzata in prodotti di alta qualità.
Le scelte culinarie di Messina Denaro sono diventate oggetto di discussione nel processo d’appello a carico di Andrea Bonafede, l’operaio di Campobello di Mazara condannato in primo grado a sei anni e otto mesi per favoreggiamento aggravato. Il processo, che si svolge con rito abbreviato presso la Corte di Appello di Palermo, presieduta da Ferdinando Sestito, vede la procura generale impegnata a dimostrare che Bonafede non era un semplice favoreggiatore, ma un associato a Cosa Nostra.
Nell’ultima udienza, le deposizioni di tre testimoni citati dal procuratore generale Carlo Marzella sembrano avvalorare questa tesi. Tra questi, i titolari della salumeria frequentata da Messina Denaro, marito e moglie, hanno riconosciuto Bonafede e l’uomo che lo accompagnava, identificato successivamente come il latitante. Secondo la loro testimonianza, Messina Denaro, cliente abituale, sceglieva personalmente i formaggi, dimostrando una profonda conoscenza dei prodotti e prediligendo quelli di qualità superiore, con spese che superavano i 300 euro in una sola occasione. L’episodio risalirebbe al periodo tra il 2012 e il 2013, smentendo l’ipotesi che la presenza del boss a Campobello di Mazara coincidesse con la scoperta della sua malattia nel 2020. La testimonianza conferma, invece, la sua presenza nell’area già dieci anni prima dell’arresto, in compagnia di Andrea Bonafede.
Un ulteriore tassello al puzzle investigativo è stato aggiunto dalla testimonianza di un installatore di climatizzatori di Campobello di Mazara. L’uomo ha dichiarato di essere stato contattato da Bonafede, suo cliente, per installare un impianto di aria condizionata e ricaricare il gas di un frigorifero in un’abitazione di via San Giovanni, identificata dagli inquirenti come il primo covo del boss. L’installatore ha ricordato un particolare significativo: al suo arrivo, tutte le finestre dell’abitazione erano chiuse. Solo su sua indicazione, per evitare una pericolosa dispersione di gas durante la ricarica del frigorifero, chi lo aveva accolto si decise ad aprirne una. Per la procura generale, queste circostanze rafforzano l’ipotesi di un legame stretto tra Bonafede e Messina Denaro.