I parenti di Messina Denaro, almeno quelli che non sono in carcere, lo venerano come un Dio. E sono sicuri che se l’ultimo superlatitante di Cosa Nostra fosse libero di muoversi le cose starebbero diversamente. Per lui nutrono ammirazione e devozione, lui che dopo la morte del padre, morto in latitanza, ha preso le redini del comando mafioso.
Lo conferma una intercettazione shock che risale al 27 novembre 2013. Si tratta di un dialogo, in dialetto siciliano, tra Giovanni e Rosa Santangelo, fratelli della madre di Messina Denaro. La conversazione si svolge nella cucina di Rosa.
Come riporta il Giornale di Sicilia, l’intercettazione è stata letta, interpretata e trascritta per intero solo nel corso del processo contro Anna Patrizia Messina Denaro, la sorella del superboss, condannata a 13 anni in primo grado, assieme al nipote, Francesco Guttadauro.
Per entrambi il sostituto procuratore generale Mirella Agliastro ha chiesto la conferma della sentenza di un anno fa del tribunale di Marsala, nel giudizio che si celebra davanti alla terza sezione della Corte d’appello di Palermo.
Dalla conversazione emerge come, nonostante la latitanza, Messina Denaro venga informato di tutto.
Dice infatti lo zio Giovanni, che non nomina il nipote pur riferendosi chiaramente a lui: “Iddu, iddu puru.. che ti pare… l’ ha caputu soccu succere nta la so famigghia”. “No – lo interrompe la sorella Rosa – lo informano… lu tennu informato”.
Ancora Giovanni: “Ma che sta succedendo, che sta succedendo”… e chiddu di luntanu lo vuole aggualare (sistemare, ndr) le cose. Però capisce che non le può aggualare picchì nun avi cristiani… vedi che ciriveddu nunn’ a vi nuddu… Ognuno fa pi conto so’, quannu c’ era so patre teneva tutti a posto… e se chistu fussi ccà, viri che le gambe rumpissi, a tutti“.
La zia ricorda poi la ‘potenza’ del nipote, la sua capacità di raggiungere obiettivi ed interessi prima della latitanza. E racconta un episodio: “Io mi ricordo una cosa, Giova’. ‘Na vota ci rissi a to’ suoru che io avia bisogno di travagghiare e mi manciaru… “Statti rintra”.
La zia Rosa, anche se le donne dei Messina Denaro non lavorano, non si arrende e confida al nipote il problema: “Haiu bisognu di travagghiare, unniegghe’, anche bidella ‘e scole”. “Vattinni ‘a casa”. “Un ci diri nenti a to ma'”. Mi arricogghiu rintra, dopo un quarto d’ ora mi sona u telefonu e mi rice accussì, “domani, verso le quattru, vai nta la via IV Novembre, alla Cassa Mutua, presentati nni iddu”. L’ indomani vaju dda’, alle quattro. Truvavi: “Signora, venissi dumani…”. Due anni e mezzo travagghiavi alla cassa mutua – esulta zia Rosa – a lu coso delle analisi, due anni e mezzu travagghiai. Pi iddu».
Ancora più orgoglioso lo zio: “Iddu cumanna tutti…”. E la zia insiste, ammirata: “A un quartu d’ ura… a un quartu d’ ura… e so ma’ unni capiu nenti”. Ancora Giovanni: “Rosa, vedi ca iddu cumanna tutta Palermo, tutta la Sicilia di Trapani, tutta la provincia…». E la zia: «Nca non lo diciono? Ma lo vantano, lo aiutano tutti…». Giovanni Santangelo chiarisce: “Iddu ci avi cristiani cca’ a Castelvetrano, quannu avi bisogno»”.
Ma adesso le cose stanno cambiando, e lo sanno anche i vecchi zii di Messina Denaro. Intanto il cugino del superboss, Lorenzo Cimarosa, ha deciso di collaborare con la giustizia.
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