Nove indagati su undici coinvolti nell’inchiesta della Dda di Palermo su un maxiriciclaggio di denaro che mafiosi vicini a Matteo Messina Denaro avrebbero fatto per ripulire i soldi dei clan palermitani sono rimasti in silenzio davanti al gip nel corso dell’interrogatorio di garanzia.

L’interrogatorio

Gli unici a non avvalersi della facoltà di non rispondere sono stati solo Antonino Putaggio e Leonardo Palmeri che hanno dato ai pm la loro versione dei fatti. Gli altri, da Salvatore e Andrea Angelo, padre e figlio, mafiosi di Salemi al centro dell’operazione, al capomafia palermitano Michele Micalizzi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. L’inchiesta, oltre a svelare il riciclaggio che sarebbe stato tentato dagli indagati, ha fatto emergere il piano della mafia di acquisire 12 punti vendita della Coop Sicilia, di riciclare lire fuori corso per conto della ‘ndrangheta e di ripulire il denaro di Calogero John Luppino, il re delle scommesse clandestine online, altro fedelissimo dell’ex latitante

No ai domiciliari per Bonafede

Il gip di Palermo ha respinto la richiesta di arresti domiciliari avanzata da Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato l’identità a Matteo Messina Denaro, condannato a 6 anni e 8 mesi per favoreggiamento aggravato del capomafia. La Procura gli aveva contestato l’associazione mafiosa: la derubricazione del reato in favoreggiamento era alla base dell’istanza di sostituzione del carcere con i domiciliari fatta dall’imputato.

L’appello della procura

Nelle scorse settimane la Procura ha presentato appello contro la sentenza di condanna di Bonafede e ha depositato una serie di nuovi elementi che dimostrerebbero il ruolo di associato mafioso, e non solo di favoreggiatore, di Bonafede. L’operaio avrebbe assicurato assistenza e aiuto costanti al boss in diverse fasi della latitanza.

Oltre a fare la spola con lo studio del medico del padrino per consegnare e prendere esami e ricette nel periodo in cui Messina Denaro era ammalato di cancro, l’avrebbe accompagnato a farsi dei tatuaggi e a pranzare al ristorante a Palermo. I due, dunque, avrebbero avuto una frequentazione stretta. Sarebbe stato, inoltre, Bonafede ad acquistare il cellulare riservato che il capomafia usò durante il suo ricovero per l’intervento chirurgico subito nel 2020 all’ospedale di Mazara del Vallo.

L’accusa di mafia

L’accusa di mafia è caduta nel corso del processo ed è stato condannato con l’accusa di essere il fiancheggiatore del latitante Messina Denaro. Avrebbe fatto da postino al capomafia, occupandosi soprattutto di farsi prescrivere e di ritirare le ricette mediche per garantirgli le cure, in seguito alla diagnosi del tumore.

Il giudice ha accolto solo parzialmente le richieste del procuratore aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, che avevano invocato una condanna a 13 anni di carcere. Bonafede, difeso dall’avvocato Tommaso De Lisi, era stato arrestato il 7 febbraio scorso, cioè poche settimane dopo la cattura di Messina Denaro, avvenuta il 16 gennaio dopo una latitanza trentennale.

 

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