Paolo Genco, presidente dell’ente di formazione Anfe è stato assolto perché il fatto non sussiste. Dopo cinque anni di processo il giudice del tribunale di Trapani Massimo Corleo ha assolto insieme a Genco, difeso dall’avvocato Massimo Motisi, anche Baldassare Di Giovanni, titolare della società la Fortezza, ritenuto socio occulto di Genco e difeso dall’avvocato Giovanni Di Benedetto, Tiziana Paola Monachella, responsabile dell’Anfe di Castelvetrano difesa dall’avvocato Cinzia Calafiore, Aloisia Miceli, direttore amministrativo dell’ente difesa dagli avvocati Roberto Mangano e Miriam Lo Bello, e Rosario Di Francesco direttore della Logistica della delegazione regionale Sicilia Anfe difeso dall’avvocato Luciano Fiore.
Secondo le indagini della Guardia di Finanza il presidente dell’ente avrebbe ottenuto finanziamenti non dovuti e utilizzato i soldi dell’ente di formazione per fini personali. Genco in base all’accusa negli ultimi anni avrebbe sottratto un milione e 800 mila euro destinati alla formazione, utilizzandoli per investimenti, un’auto di grossa cilindrata, gioielli e orologi di lusso, polizze assicurative, dossier titoli e forzieri all’estero.
Ottanta dipendenti dell’Anfe si erano costituiti parte civile. Nella cassaforte di casa gli trovarono 30 lingotti e 49 monete d’oro (per oltre un chilo di peso) e 30.000 euro in contanti.
“Una lunga e faticosa battaglia processuale che alla fine ci da pienamente ragione restituisce a Paolo Genco la sua onorabilità – dice l’avvocato Massimo Motisi – Ma nessuno potrà ripagare il danno causato da questo processo, il fallimento di Anfe, il licenziamento di centinaia di lavoratori, Altri procedimenti penali a cascata. Il giudice ha deciso l’assoluzione per tutti gli imputati con la formula perché il fatto non sussiste, dissequestro di tutti i beni e il rigetto di tutte le domande delle parti civili”.
L’inchiesta risale al 2017. La presunta frode nella formazione professionale porto poi al crac dell’Anfe. Genco e Di Maggio – secondo le ipotesi d’accusa e l’arresto – erano ritenuti responsabili dell’indebita percezione dal 2010 al 2013 di contributi pubblici a carico della Regione Siciliana e dell’Unione Europea per oltre 53 milioni di euro. Adesso l’assoluzione.