A interrompere la sua latitanza di lusso in hotel 5 stelle di mezzo Sudamerica furono i carabinieri di Trapani che, nel 2009, lo arrestarono all’alba davanti all’hotel Cumberland di Caracas. Lo cercavano dal 2001 per un traffico di droga tra l’America Latina e l’Italia.
Oggi il gup di Palermo, accogliendo le richieste dei pm della Dda Piero Padova e Carlo Marzella, ha condannato Salvatore Miceli, per anni nella lista dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia, a 16 anni di carcere per traffico internazionale di stupefacenti.
Ritenuto capomafia di Salemi, città degli esattori mafiosi Nino e Ignazio Salvo, ha una precedente condanna sempre per narcotraffico ormai scontata. Ad affidargli il business della droga era stato, attraverso il suo consigliere Pino Lipari, Bernardo Provenzano che di lui si fidava ciecamente.
Nell’ottobre del ’90 di Miceli si occupò l’allora procuratore di Marsala, Borsellino, che lo fece arrestare grazie alle
dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Giacoma Filippello.
Nello stesso processo, celebrato in abbreviato, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga sono stati condannati Michele Gregoli (12 anni), Gaetano Gregoli (12 anni), Emanuele Saglimbene (9 anni e 4 mesi), Mario Fortunato Miceli (14 anni), e Michele Decina (12 anni). Tre gli assolti: Roberto Pannunzi, Salvatore Giordano e
Vincenzo Aceste.
L’inchiesta che coinvolge Miceli e che riguarda l’importazione in Sicilia di grossi quantitativi di cocaina colombiana suscitò molte polemiche perché il gip respinse le richieste di arresto dei pm e decise di applicare, peraltro solo
ad alcuni indagati, l’obbligo di dimora e di presentazione ai carabinieri. Il carcere venne escluso dal giudice che ritenne l’assenza dell’attualità del reato.
Solo il tribunale del Riesame, a cui la Procura si rivolse impugnando la decisione del gip, portò in cella gli indagati che oggi sono stati condannati. Miceli era già detenuto.