L’Antigone di Sofocle nella versione di Roberto Lerici con la regia di Livio Galassi. Una prima nazionale in esclusiva al Teatro Antico di Segesta lunedì 31 luglio e martedì 1 agosto. Ancora un appuntamento di spicco nel cartellone del “Catalafimi Segesta Festival – Dionisiache 2017”, la manifestazione organizzata dal comune di Calatafimi Segesta in sinergia con il Parco Archeologico di Segesta e la direzione artistica di Nicasio Anzelmo.
Questa nuova traduzione della Antigone di Sofocle è integrale in tutte le sue parti, ma per la versione teatrale sono stati inseriti due brani costruiti con battute tratte dall’Edipo a Colono dello stesso Sofocle. L’inserimento non è soltanto dovuto a una scelta drammaturgica, ma anche all’esigenza di chiarire certi precedenti del mito di Edipo non conosciuti da tutti gli spettatori di oggi. Si tratta del brano che apre lo spettacolo, quando Antigone rievoca la memoria dell’ultimo colloquio con il fratello Polinice, deciso ad assalire Tebe per riottenere il trono che ritiene usurpato dal fratello minore Eteocle. L’altro brano è l’ultimo monologo di Antigone, composto da frammenti che rievocano in parallelo le situazioni e sensazioni della morte di Edipo. In questa versione i personaggi della Guardia, che denuncia e cattura Antigone, e del Primo Messaggero, che annuncia e racconta la morte di Antigone ed Emone, sono stati unificati in un unico personaggio definito il Messo.
In effetti la Guardia è un personaggio comico che anticipa i buffoni di corte di tutto il teatro tragico posteriore, con quei suoi modi cinicamente audaci, le sue arguzie verbali osate a tu per tu con il re Creonte, tipiche di chi è abituato a sopravvivere più che vivere. Il Primo Messaggero è una guardia anche lui, ma del buffone di corte ha l’altra faccia, quella tragica di chi ha provato a ridere della realtà, ma ha dovuto smettere, a suo modo sopraffatto dalla spaventosa instabilità del destino umano. Due facce dunque che vedremo riunite in certi analoghi personaggi di Shakespeare e che non è troppo azzardato riunire in questa versione, viste certe affinità del linguaggio presenti nell’originale greco. In questa versione inoltre il Corifeo esprime anche i sentimenti del popolo, concentrando in se tre funzioni, con più efficace chiarezza drammaturgica. D’altra parte Aristotele nella sua Poetica critica “la poca aderenza del Coro al testo rappresentato”, dicendo che “il Coro va considerato come uno degli attori e dovrebbe partecipare all’azione, come infatti fa, più o meno, nelle tragedie pervenuti fino a noi”, come cita H. C. Baldry nel suo “I greci a teatro”.
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