Il gup Rosario Di Gioia ha condannato a 6 anni e 8 mesi Andrea Bonafede, il dipendente comunale di Campobello di Mazara, cugino omonimo del geometra che ha prestato l’identità al boss Matteo Messina Denaro, durante l’ultima fase della sua latitanza. L’imputato, che è stato processato con il rito abbreviato.
L’accusa di mafia
L’accusa di mafia però è caduta nel corso del processo ed è stato condannato con l’accusa di essere il fiancheggiatore del latitante Messina Denaro. Avrebbe fatto da postino al capomafia, occupandosi soprattutto di farsi prescrivere e di ritirare le ricette mediche per garantirgli le cure, in seguito alla diagnosi del tumore. Il giudice ha accolto solo parzialmente le richieste del procuratore aggiunto Paolo Guido e dei sostituti Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, che avevano invocato una condanna a 13 anni di carcere. Bonafede, difeso dall’avvocato Tommaso De Lisi, era stato arrestato il 7 febbraio scorso, cioè poche settimane dopo la cattura di Messina Denaro, avvenuta il 16 gennaio dopo una latitanza trentennale.
La ricostruzione della procura
Secondo la ricostruzione della Procura, l’imputato avrebbe fatto la spola tra lo studio del medico per farsi prescrivere farmaci e visite, oltre a ritirare ricette. Furono quasi 140 quelle individuate dagli investigatori. L’imputato si era difeso sostenendo di aver fatto “una cortesia” al cugino omonimo, che “voleva nascondere la sua malattia alla sua famiglia”. In realtà, però, il vero Andrea Bonafede non è affetto da alcun tumore, ma i suoi dati sono stati utilizzati da Messina Denaro per accedere alle cure del Servizio sanitario nazionale.
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