La Guardia di Finanza di Trapani ha dato esecuzione a un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal Gip del Tribunale di Trapani, su delega della locale Procura, nei confronti di 3 persone. Vanno agli arresti domiciliari, perché indagati, a vario titolo per associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, autoriciclaggio e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
Scatta anche il sequestro
Il Gip ha anche disposto il sequestro delle quote sociali e dell’intero complesso aziendale della holding unifamiliare, già dichiarata fallita dal Tribunale di Trapani, del valore di oltre 500 mila euro e il sequestro preventivo di oltre 100 mila euro nei confronti di uno degli indagati.
Le indagini della Procura trapanese
Le indagini, condotte dai militari del Gruppo di Trapani, traggono origine dall’approfondimento investigativo di diverse vicende societarie connotate da condotte fraudolente che hanno visto i tre arrestati attuare un disegno criminoso finalizzato a provocare la bancarotta dell’originaria loro società, dichiarata fallita dal Tribunale di Trapani nel settembre 2019, distraendone i beni e l’intero complesso aziendale, attraverso un continuo passaggio a nuove società – anch’esse poi insolventi e indebitate – con l’intento di continuare l’attività lavorativa e lasciare i creditori, tra i quali lo Stato, senza alcuna possibilità di rivalsa.
Il fallimento e il modo per non pagare il Fisco
Il piano criminale è stato attuato partendo dalla società dichiarata fallita, a San Vito Lo Capo, e ha coinvolto altre tre “aziende satelliti”, caratterizzate tutte da una breve vita aziendale e rappresentate dai componenti della stessa famiglia, con una sola finalità, aggirare l’erario e i creditori con una esposizione debitoria superiore al milione di euro. Le indagini hanno poi consentito di accertare, per tutte le società coinvolte, la mancanza di scrittura contabile, poiché distrutta o occultata. Il quadro probatorio ricostruito al termine delle indagini ha permesso di riconoscere in capo agli arrestati un reimpiego del profitto del reato, inteso come il riutilizzo dell’insieme di beni e servizi, facenti parte dell’impresa fallita, configurando così l’ipotesi dell’autoriciclaggio.
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