Tutto il mondo è pronto a inginocchiarsi di fronte all’Intelligenza Artificiale, tessendone le magnifiche sorti e progressive, perché tecnologia ritenuta panecea di tutti i mali e risolutrice di tutti i problemi umani. E lo si fa nel nome delle tre nuove divinità laiche: semplificazione, comodità e velocità. Ma c’è chi ancora s’oppone e non si rassegna a consegnare mente, corpo e spirito al domino dell’algoritmo.
A Talk Sicilia abbiamo affrontato il tema dell’Intelligenza artificiale da una prospettiva sinora inesplorata. Quella dell’antropologia, la scienza cui è affidato lo studio della natura umana. E lo abbiamo fatto con Valentina Ferranti, antropologa e scrittrice. Fiera oppositrice del dominio incontrastato dell’hi-tech, la ricercatrice comunque riconosce alla tecnologia un ruolo fondamentale nel migliorare la qualità della vita. Ma c’è una linea rossa da non superare: “la linea di demarcazione che non può essere superata è quella della sostituzione dell’intelligenza umana, del concetto di coscienza legata all’essere umano e quella del superamento del dato umano, naturale e quindi divino”, sostiene la ricercatrice.
Ma nel concreto, che rischi corriamo? La risposta della Ferranti mette i brividi: “L’intelligenza artificiale sarà la fine dell’uomo, dell’essere umano, così come l’abbiamo sempre vissuto e conosciuto. L’intelligenza artificiale ci porrà di fronte ad una rottura tra noi e le nostre sensazioni e percezioni”.
Forse l’antropologa sta esagerando nel disegnare un futuro a tinte così cupe? Ecco con quali argomenti replica: “L’intelligenza artificiale ha già acquisito e ha già catturato due sensi che sono i due sensi più esterni del corpo che sono la vista e l’udito, per cui abbiamo già una confusione tra ciò che è reale e ciò che non è reale”.
AI mischia e confonde finzione e realtà
“Ci troviamo di fronte proprio alla confusione tra finzione e realtà – spiega Ferranti – e questo lo abbiamo già letto in tanti film e romanzi distopici che sembrano essere proprio lo specchio di questo nostro possibile futuro. Prendiamo per esempio le immagini del film Matrix, dove c’è spesso il termine collegarsi e scollegarsi. Ebbene, noi questi termini ora li usiamo per interagire con una realtà potenziale, la realtà virtuale con cui siamo connessi. Siamo sempre appunto connessi a una realtà che non è reale, ma è una finzione, un potenziamento della realtà che noi viviamo”.
Siamo a un point break antropologico
Per la scrittrice, “siamo di fronte a un point break antropologico, un’interazione paritaria tra intelligenza artificiale e essere umano. Ma soprattutto l’intelligenza artificiale sta entrando nel campo della creatività umana, cioè crea contenuti, crea foto, crea immagini, può creare addirittura un gatto dal nulla, quindi renderlo in qualche modo vero”.
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