operazione mater familias

Spaccio ad Avola, 7 arresti, il boss era una donna, “si serviva dei figli minori”

Gli agenti di polizia di Avola hanno concluso l’operazione antidroga Mater familias con l’esecuzione di una misura cautelare nei confronti di 9 persone accusato di aver gestito ad Avola una piazza dello spaccio, ricavata in via Miramare. Tra gli indagati, ci sono 7 persone, trasferite in carcere, una minorenne che è stata collocata in comunità mentre un’altra persona ha avuto il divieto di dimora. Secondo gli inquirenti avrebbero condotto e promosso  una compravendita di  cocaina, hashish e marjuana.

Una donna al comando

Al vertice ci sarebbe stata una donna di 34 anni, che  si serviva degli altri familiari che cedevano al minuto lo stupefacente assicurando la propria prestazione “lavorativa” dalle prime ore del mattino fino a notte inoltrata. Si è calcolato che in un giorno poteva concretizzarsi più di 180 cessioni giornaliere con  ingenti profitti economici al giorno.

La gestione

La donna  si occupava in prima persona delle cessioni, del trasporto, dell’occultamento e del rifornimento dello stupefacente. Curava, in virtù del ruolo verticistico ricoperto, il rapporto con i fornitori, la gestione finanziaria prodromica all’acquisto delle partite di stupefacenti, la retribuzione dei propri collaboratori, il recupero dei crediti concessi agli assuntori, il monitoraggio dello stupefacente residuo ed il fabbisogno quotidiano della piazza di spaccio. Infine, forniva chiare disposizioni che dovevano essere eseguite all’intero gruppo criminale, servendosi anche dell’ausilio dei figli minorenni.

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La famiglia

Nelle ipotesi in cui “la titolare” risultava assente, il suo posto l’avrebbe preso il giovane genero, il quale per ogni operazione doveva essere sempre preventivamente autorizzato dalla donna. Dalle indagini della polizia è emerso che
ogni membro del nucleo familiare rivestiva una funzione essendo impiegati i suoceri, cognati e, finanche, i figli più giovani.

Il ruolo dei figli

Quest’ultimi, tutti minorenni, svolgevano il compito di ricevere le forniture dello stupefacente occupandosi
finanche dell’occultamento e del trasporto dello stesso. L’attività di trasporto era sovente affidata a loro col fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine per via della giovane età e lo status di incensurati. Infine, il figlio più grande si è adoperato nel reperimento di un’arma da sparo che deteneva, con l’assenso della madre, all’interno della propria abitazione.

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Vendita take away

Le  cessioni dello stupefacente avvenivano nel domicilio della famiglia tramite un sistema stile “take away”. I clienti parcheggiavano le rispettive auto in una piccola via retrostante l’abitazione dove, avvicinandosi ad una persiana
semichiusa, effettuavano “l’ordinazione” introducendo la somma di denaro in una fessura per poi ricevere, immediatamente dopo, quanto desiderato.

Il modello

La complessa attività  era organizzata in modo tale da poter fronteggiare anche eventuali “rischi di impresa” quali i sequestri della sostanza stupefacente da parte delle forze dell’ordine.  L’alto livello fiduciario tra la donna ed il fornitore  consentiva l’approvvigionamento delle successive partite di droga a credito al fine di compensare le perdite economiche subite con i sequestri e ripianare eventuali passivi.

I corrieri

Il sistema criminale era garantito da alcuni corrieri messi a disposizione del fornitore. Quest’ultimi, assieme o alternativamente al fornitore stesso, erano in grado di rifornire celermente la titolare dell’attività illecita ogni qualvolta ne avesse fatto richiesta, anche più volte, nell’arco della medesima giornata.

I sequestri

Contestualmente, sono state eseguite perquisizioni nelle abitazioni degli indagati principali: sono stati sequestrati 1.890,00 euro in contanti di piccolo taglio, 3 bilancini di precisone, 699 di hashish suddivisa in panetti e 24
grammi suddivisa in dosi, 10,80 grammi di marjuana, 20,47 grammi di cocaina,  2 proiettili rispettivamente calibro 12 e 38.

 

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