Era stato scarcerato da circa un mese Carmelo Terranova, 72 anni, di Floridia, che stava scontando 3 ergastoli nel penitenziario di Bari. Il magistrato di sorveglianza, accogliendo il ricorso del difensore, Antonio Meduri, aveva ritenuto che l’esponente del clan Aparo potesse tornare a casa, agli arresti domiciliari, per via delle sue condizioni di salute. L’emergenza Covid19 avrebbe giocato un ruolo importante in questa decisione ma c’è stato un ripensamento per cui “su ordine della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Bari, i carabinieri hanno tratto in arresto l’uomo, che è stato tradotto presso la casa Circondariale Cavadonna di Siracusa” fanno sapere dal comando provinciale. E si scopre che “gli approfondimenti sanitari successivamente condotti hanno attestato la non incompatibilità delle sue condizioni di salute col regime carcerario” spiegano i carabinieri. Insomma, la sua pena la sconterà nel carcere di Cavadonna, a Siracusa.
Carmelo Terranova non è un personaggio qualunque nella criminalità organizzata, è indicato dai magistrati della Dda di Catania come un esponente di spicco della cosca Aparo di Floridia-Solarino, legata storicamente al clan Santapaola di Catania, e condannato a tre ergastoli per omicidio. E’ stato condannato al carcere a vita dalla Corte d’Assise di Siracusa per gli omicidi di Salvatore Pernagallo, di Francofonte avvenuto il 7 aprile 1992, di Salvatore Navarra, ex autista del sindaco di Canicattini, verificatosi nel 1992 nell’ambito della guerra di mafia tra i clan Aparo-Nardo-Trigila e il gruppo Urso-Bottaro, ed infine per la strage di San Marco, avvenuta il 3 settembre 1992. Oltre a Carmelo Terranova, per l’omicidio di Pernagallo, nipote del boss di Scordia Giuseppe Di Salvo, successivamente divenuto collaboratore di giustizia, è stato condannato anche il boss di Lentini Sebastiano Nardo.
Oltre 5 anni fa, proprio per motivi di salute, Carmelo Terranova era stato scarcerato ma il suo appartamento, secondo quanto ricostruito dalle forze dell’ordine, sarebbe diventato il luogo di incontro tra pregiudicati, alcuni dei quali appartenenti alla cosca mafiosa, per cui fu rispedito in carcere.
Tra gli appartenenti a questa consorteria mafiosa c’era Nunzio Salafia, morto nel 2016, il cui nome saltò fuori, per la prima volta, in uno dei fatti di sangue più cruenti, la “strage della circonvallazione“, avvenuta il 16 giugno del 1982 a Palermo per ammazzare il boss catanese Alfio Ferlito, che stava per essere trasferito da Enna al carcere di Trapani, ma in quell’agguato persero la vita anche i quattro carabinieri che lo scortavano. Ma è l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il 3 settembre del 1982, e della moglie, Manuale Setti Carraro, a svelare la pericolosità di Salafia che, per quel delitto, fu arrestato grazie ad un ordine di cattura emesso da Giovanni Falcone. Ed anche sulla strage di Capaci, la Procura di Palermo scova il nome del reggente della cosca Aparo, a seguito delle rivelazioni di un pentito, Leonardo Messina, a Paolo Borsellino.