Nei giorni scorsi,  la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare, in relazione all’associazione a delinquere di stampo mafioso ed al traffico di droga, nei confronti di Massimo Calafiore, 52 anni, coinvolto nell’operazione denominata San Paolo conclusa dai carabinieri nel luglio scorso con 24 misure cautelari. Questa mattina, i militari della Guardia di finanza di Siracusa hanno sequestrato il patrimonio del cinquantaduenne, indicato dalla Dda di Catania come un esponente del clan Aparo di Floridia e Solarino.

Il Tribunale di Catania, su richiesta della Procura distrettuale, ha disposto l’apposizione dei sigilli per un appartamento, un’autovettura di grossa cilindrata e rapporti bancari e finanziari per il valore complessivo di circa 300.000 euro.

Un provvedimento che, secondo gli inquirenti, è motivato dalla pericolosità sociale del cinquantaduenne, condannato in via definitiva in due procedimenti giudiziari: nel primo, ha rimediato una pena pari a due anni di reclusione nel 1999  per associazione mafiosa, in quanto avrebbe fatto parte “del clan diretto da Sebastiano Nardo e Antonio Aparo dal 1988 al 1996”. Nel 2003 è stato condannato 9 anni e 6 mesi di reclusione “per il reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti”.

Gli accertamenti patrimoniali  avrebbero svelato una evidente disomogeneità tra la sua dichiarazione dei redditi e la disponibilità di immobili e conti correnti nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2018.

La difesa dell’indagato, rappresentato dall’avvocato Domenico Mignosa, ha già preannunciato ricorso al provvedimento di sequestro così come, dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione, il legale ha presentato istanza di scarcerazione per il cinquantaduenne.

L’inchiesta San Paolo ha avuto origine dopo alcuni incendi avvenuti nel comune di Floridia ai danni delle attività commerciali, tutti accomunati dallo stesso modus operandi. I roghi venivano appiccati agli esercenti che erano caduti nella rete dell’usura: alle vittime era applicati tassi di interesse mensili del 20 per cento, 240% annui. Gli esercenti, secondo i carabinieri, pagavano con bonifici bancari o trasferimenti monetari su Postepay, oltre che con il classico metodo del trattenimento di assegni dati in garanzia per l’ammontare del prestito

I soldi dell’usura, da quanto emerge nell’inchiesta San Paolo, sarebbero stati investiti per l’acquisto di partite di droga, fornite dai fornite da un gruppo di catanesi, legato, secondo la Dda di Catania, al clan etneo dei Santapaola Ercolano, gruppo di Nicolosi-Mascalucia. La sostanza stupefacente veniva poi rivenduta a numerosi acquirenti di Floridia alimentando lo spaccio al dettaglio tra Floridia e Solarino.