- Testimonianza in aula di un pentito sul processo al clan di Pachino
- Il collaboratore di giustizia ha svelato l’esistenza di bische clandestine
- La difesa sostiene che il teste è stato vago
“So che il clan Giuliano di Pachino gestiva l’usura ed una bisca clandestina era nelle mani dei fratelli Aprile“. E’ uno stralcio delle dichiarazioni rese in videoconferenza nell’aula della Corte di Assise di Siracusa da Francesco “Cesco” Capodieci, neo collaboratore di giustizia, chiamato a testimoniare nel processo Araba Fenice per mafia, droga ed estorsione che vede alla sbarra i presunti esponenti del clan Giuliano di Pachino.
Il processo
Sono 21 gli imputati, tra cui Salvatore Giuliano, indicato dai magistrati della Dda di Catania come il capo della cosca, ed i fratelli Aprile, Claudio, Giovanni, e Giuseppe, anch’essi ritenuti tra i vertici dell’organizzazione.
Bische a Pachino e Noto
Nel corso della sua deposizione, Francesco Capodieci, siracusano, ex capo del gruppo Bronx di Siracusa, ha detto “di conoscere Giuliano” ma “non i fratelli Aprile”. Però, secondo quanto emerso nella sua testimonianza, ha spiegato che tra il 2016 ed il 2017 avrebbe frequentato una bisca clandestina nella zona di Pachino che, a suo parere, era sotto il controllo degli Aprile.
Inoltre, ha chiamato in causa un altro imputato, Giuseppe Crispino, affermando che avrebbe gestito un’altra bisca, ma a Noto. Nell’inchiesta degli agenti della Squadra mobile e della Procura distrettuale antimafia di Catania, sono emersi casi di estorsione e traffico di droga ma non di usura, come, invece, sostenuto dal pentito. Fatti che, naturalmente, dovranno essere provati e documentati.
La difesa
Il collaboratore di giustizia, dopo aver risposto alle domande del pm della Dda di Catania, è stato sottoposto al controesame della difesa dei fratelli Aprile, rappresentati dall’avvocato Giuseppe Gurrieri. “Capodieci – riferisce l’avvocato Gurrieri – ha solo risposto con delle considerazioni, non in modo diretto e circostanziato. Non ha fornito elementi diretti né ha detto di aver commesso dei reati insieme agli imputati o con qualcuno di essi”.
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