Si è tenuta, a Roma, l’udienza per il ricorso della difesa di Salvatore Giuliano, indicato dalla Procura distrettuale antimafia di Catania come il boss di Pachino e tutt’ora alla sbarra per estorsione, mafia e traffico di droga nell’ambito del processo Araba Fenice. L’imputato è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Sassari in regime di 41 bis, il carcere duro riservato ai mafiosi: il provvedimento, emesso nel febbraio del 2019, nel giorno del compleanno di Giuliano, è stato è stato richiesto dalla Procura distrettuale di Catania, con il parere positivo della Direzione nazionale antimafia. La difesa, rappresentata dall’avvocato Giuseppe Gurrieri, nel corso dell’udienza, ha depositato una memoria di 25 pagine in cui, sostanzialmente, rigetta le ricostruzioni dell’accusa sulle ragioni del 41 bis. Per i magistrati, Giuliano potrebbe dirigere le attività criminali, attraverso contatti con l’esterno, se non fosse sottoposto all’attuale misura, “ma non ci sono contatti con l’esterno, del resto nella contestazione non ci sono elementi specifici, nemmeno si fa cenno a soggetti in via di identificazione”. Nei prossimi giorni, al termine della Camera di Consiglio, si saprà se sarà confermata la misura ai danni dell’imputato del processo Araba Fenice.
Giuliano è rimasto coinvolto, insieme ad altre 29 persone, nel luglio del 2018 nell’operazione antimafia degli agenti della Squadra mobile di Siracusa denominata Araba fenice sulle estorsioni ai danni dei produttori agricoli di Pachino. Da quanto emerso nell’inchiesta della Dda, le vittime avrebbero dovuto consegnare la merce ai vertici della cooperativa La Fenice, nell’orbita di Giuliano, che, a loro volta, con metodi intimidatori, a parere degli inquirenti, avrebbero convinto i centri di distribuzioni ed altri commercianti a comprare da loro. Il gruppo, nella versione dell’accusa, avrebbe anche preteso il pagamento di una provvigione come corrispettivo di una presunta mediazione contrattuale svolta tra produttori e commercianti. Secondo la Dda, grazie ai legami con il clan catanese Cappello e al patto di non belligeranza siglato con la consorteria rivale dei Trigila, Salvatore Giuliano si sarebbe assicurato lo spazio per dominare incontrastato nei territori di Pachino. E’ anche sotto processo, a Siracusa, insieme al figlio per le minacce al giornalista Paolo Borrometi.
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