A chiedere al Governo di aprire gli occhi sulla vendita di Lukoil al fondo cipriota Goi Energy è stato il senatore siracusano del Pd, Antonio Nicita che ha suggerito di giocare la carta della Golden power. Si tratta di un istituto, introdotto nel nostro ordinamento il 15 marzo del 2012, per conferire al Governo la facoltà di porre condizioni o veti in caso di tentativi di acquisto “ostile” da parte di una società estera di un’azienda italiana strategica o attiva in un settore ritenuto fondamentale.
L’analisi dei capitali
Insomma, fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, secondo il senatore del Pd. Ma sono tante le domande e gli interrogativi attorno a questo passaggio di consegne, anche se il closing sarà definito entro la fine di marzo, come spiegato dalle parti. Il Governo, qualora decidesse di avviare la procedura con il Golden power, dovrà analizzare i canali di finanziamenti dell’operazione.
Il ruolo di Bobrov
Un ruolo chiave, in questa compravendita, potrebbe essere stato assunto dall’amministratore di Goi Energy, Michael Bobrov, manager anche di Green Oil Energy, a sua volta azionista di maggioranza di Bazan Group, uno dei più grandi e complessi gruppi energetici in Israele, che gestisce il più grande impianto integrato di raffinazione e petrolchimico del Paese.
Il costo dell’operazione
Bobrov è di origine sudafricana ma da anni vivrebbe in Israele, e secondo il quotidiano La Verità, l’affare per la vendita delle due raffinerie di petrolio si aggirerebbe attorno ai 2 miliardi euro che ha, evidentemente, battuto quella del fondo americano Crossbridge e di un gruppo d’affari legato al Qatar che avrebbe avuto tra i sostenitori l’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema.
I rapporti tra Israele e Russia
L’operazione sembrerebbe essere “benedetta” da Israele anche se dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, i rapporti con il Cremlino si sono incrinati ma il ritorno sulla scena di Netanyahu avrebbe cambiato lo scenario, non solo per la sua amicizia con Putin, mai rinnegata, ma anche per scalzare la Turchia nel ruolo di mediatore con l’Occidente.
“Al Cremlino, nessuno ha dubbi: la vittoria di Netanyahu è considerata in chiave esclusivamente positiva. E questo, in primo luogo, per i rapporti personali privilegiati tra il rientrante premier e il presidente russo Vladimir Putin” scrive Mauro Indelicato su Insiderover, inserto de Il Giornale.
Insomma, è se Israele avesse deciso di dare una mano alla Russia? Certo, la proprietà delle raffinerie è della Litasco, società italo svizzera ma nell’orbita del colosso Lukoil. E proprio per la vicinanza alla Russia, le banche, e non solo, hanno congelato i rapporti d’affari con il management di Isab Lukoil, temendo di incappare nelle sanzioni dei paesi Occidentali.
Petrolchimico Siracusa sito di interesse strategico
Il Governo Meloni ha dichiarato il Petrolchimico sito di interesse strategico nazionale. Una presa di posizione che potrebbe far rientrare le aziende legate a questo asset nel piano di Transizione energetica. Nel periodo in cui le redini dell’Italia erano in mano a Draghi, Confindustria ha spinto perché le imprese connesse al fossile ricevessero gli aiuti pubblici per riconvertire gli stabilimenti per abbattere le emissioni di Co2.
E poi c’è la deadline: entro il 2035, in Europa non dovrebbero più circolare auto e mezzi alimentati con benzina e diesel. Nessuna azienda, da sola, si sobbarcherebbe i costi della riconversione, per cui, senza la mano pubblica, il Petrolchimico di Siracusa è destinato a tramontare.
Il cambio di linea decretato dall’esecutivo Meloni ha, però, cambiato lo scenario e le prospettive: si spiegherebbe forse così l’interesse a comprare le due raffinerie Lukoil da parte degli americani, del gruppo del Qatar e del fondo cipriota. Del resto, chi metterebbe tutti quei soldi sul tavolo per un settore al tramonto?
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