- Per i magistrati di Potenza Amara avrebbe preparato un piano per destabilizzare l’Eni
- L’avvocato siciliano presentava esposti anonimi alla Procura di Trani
- L’allora procuratore si autoassegnava i procedimenti penali a seguito degli esposti
L’obiettivo di Piero Amara era “destabilizzare i vertici dell’Eni e in particolare determinare la sostituzione dell’amministratore delegato, Claudio Descalzi”.
Ne sono certi i magistrati della Procura di Potenza, titolari dell’inchiesta su un presunta corruzione, che, oltre all’avvocato siciliano, finito in carcere, vede coinvolti l’ex procuratore di Trani, Carlo Maria Capristo, sottoposto all’obbligo di firma, l’agente di polizia Filippo Paradiso, pure lui in cella, l’avvocato di Trani Giacomo Ragno e Nicola Nicoletti, consulente dei commissari dell’ex Ilva dal 2015 al 2018, entrambi ai domiciliari.
Gli esposti anonimi
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Capristo, quando era Procuratore di Trani, nonostante “la palese strumentalità”, si autoassegnava in co-delega con i sostituti Antonio Savasta e Alessandro Pesce procedimenti penali che scaturivano “da esposti anonimi” sull’Eni “redatti dallo stesso Amara” e “consegnati” direttamente allo stesso Capristo. Negli esposti veniva “prospettata la fantasiosa esistenza di un inesistente progetto” per far cadere Descalzi.
Stesso metodo a Siracusa
Questo tentativo di colpire il vertice dell’Eni sarebbe stato provato anche a Siracusa quando nella Procura siciliana c’era il pm Giancarlo Longo, arrestato nel febbraio del 2018 insieme a Piero Amara ed altre persone, tutte coinvolte nell’inchiesta Sistema Siracusa della Procura di Messina. Longo ha patteggiato 5 anni di reclusione e le dimissioni dalla magistratura.
Il finto rapimento
Secondo i magistrati della Procura di Messina, l’ex pm di Siracusa, per fare un favore ad Amara, legale dell’Eni, si sarebbe autoassegnato un fascicolo sul colosso del petrolio, aperto nel 2015 dopo una denuncia presentata da Alessandro Ferraro, collaboratore di Amara, su un presunto sequestro di persona che sarebbe avvenuto a Siracusa per sviare l’inchiesta che la Procura di Milano stava conducendo su una presunta maxi-tangente pagata dai vertici dell’Eni a politici della Nigeria.
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