Il tribunale del Riesame di Siracusa ha respinto il ricorso sul sequestro dei beni presentato da Danilo Antonicelli, l’avvocato siracusano coinvolto nell’inchiesta denominata Ghost financing della Procura di Siracusa su una presunta truffa ai danni di 68 persone.
L’istanza della difesa del professionista, rappresentato dall’avvocato Sebastiano Grimaldi, è stata giudicata inammissibile ma le motivazioni della decisione saranno rese note nelle prossime settimane. Per quanto riguarda l’altra indagata siracusana finita nell’indagine dei militari della Guardia di finanza, la commercialista Elisabetta Lo Iacono, assistita dall’avvocato Antonello Davì, la difesa ha rinunciato al ricorso al Riesame di Siracusa in merito alla misura sul patrimonio anche perché “il sequestro non è stato mai notificato, quindi non è stato eseguito ufficialmente” precisa il legale della commercialista. Nelle ore successive alla conclusione dell’operazione, la Guardia di finanza aveva spiegato che erano stati sequestrati beni per un valore di circa 2 milioni di euro.
Invece, la difesa di Elisabetta Lo Iacono ha presentato istanza al Tribunale della libertà di Catania in relazione alla misura cautelare emessa ai danni della professionista, a cui il gip di Siracusa ha imposto l’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria.
Nella vicenda c’è una terza persona, un imprenditore di origini calabrese, Antonino Delfino, indicato dalla Procura di Siracusa come una figura centrale in questa presunta truffa: secondo la tesi degli inquirenti, gli indagati, prospettando ai clienti la possibilità di ottenere finanziamenti a tassi agevolati o a fondo perduto, senza la necessità di fornire idonee garanzie patrimoniali o personali li avrebbero convinti a versare cospicue somme di denaro per avviare le presunte pratiche di finanziamento. Le somme riscosse sono state poi utilizzate a fini personali quali, ad esempio, l’acquisto di beni di consumo e l’indebito finanziamento delle attività commerciali dell’imprenditore indagato.
Ai loro clienti sarebbero state proposte due diverse tipologie di operazioni: più complesse, che avrebbero previsto la costituzione di una società all’estero, da alimentare attraverso risorse originate da operazioni di sconto bancario di titoli emessi da istituti di credito stranieri. Per incarichi di questa natura, gli indagati sarebbero riusciti a farsi consegnare dagli investitori somme ingenti, variabili da 10.000 a 90.000 euro per ciascuna pratica di finanziamento; più semplici, consistenti in dichiarati finanziamenti attraverso “fondi BEI” o semplicemente “finanziamenti esteri”, per cui sarebbe stato chiesto un esborso di somme più modeste, comprese tra i 2.500 e i 7.000 euro per ogni pratica di finanziamento.
“Il potenziale cliente veniva “accalappiato” prevedendo, in contratto, la facoltà – hanno spiegato i finanzieri – di recesso e la restituzione delle somme anticipate per le spese in caso di sopravvenute difficoltà La breve durata dell’incarico, oltre alla promessa di procedere a fondo perduto o a tasso agevolato inducevano poi la persona a rilasciare il mandato ad operare. Peraltro, gli indagati spendevano la loro credibilità professionale di avvocato, commercialista e imprenditore, nota nell’ambiente, per accreditarsi quali consulenti affidabili”.
Nessuno dei clienti ha ottenuto i denari promessi, solo una sparuta minoranza di investitori è riuscita a ottenere il rimborso di quanto versato dopo le minacce di rivolgersi alle autorità giudiziarie.
L’ analisi dei movimenti bancari dei conti corrente e delle carte di credito e di debito degli indagati avrebbero così consentito di ripercorrere le modalità di impiego delle somme riscosse.
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