- Condannato a 2 anni di carcere per furto il figlio dell’ex boss Totuccio Schiavone
- Il padre dell’imputato fu ucciso in un agguato mafioso nel 1989
- Massimo Schiavone è tutt’ora sotto processo per mafia ed estorsione
E’ stato condannato a 2 anni di reclusione Massimo Schiavone, 46 anni, siracusano, con precedenti penali, accusato di furti commessi tra il 2018 ed il 2019. Gli agenti delle Volanti hanno eseguito l’ordine di carcerazione emesso dalla Procura nei confronti del quarantaseienne che si trova in cella.
Il figlio del boss Schiavone
L’uomo non è un personaggio qualunque, essendo figlio di Totuccio Schiavone, tra i primi a Siracusa ad organizzare un clan mafioso, ma brutalmente ucciso nel 1989 in una grotta, nella zona di Canicattini Bagni, zona montana del Siracusa, da due killer, assoldati, secondo la tesi dei magistrati, dal boss di Noto, Antonino Trigila, nell’ambito della guerra di mafia tra le cosche del Siracusano. A svelare i retroscena di quell’esecuzione, furono gli stessi sicari, diventati collaboratori di giustizia, che, agli inquirenti, raccontarono di avergli teso un tranello e di averlo essi stessi seppellito.
Il figlio sotto processo per mafia ed estorsione
Se è stato condannato per i furti commessi in quel biennio, Massimo Schiavone attende ancora la sentenza di primo grado del processo denominato Borgata in corso nell’aula della Corte di Assise di Siracusa. Sono 16 gli imputati, accusati dai magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania di far parte del clan Borgata che avrebbe gestito le estorsioni nell’omonimo quartiere.
L’inchiesta
L’inchiesta dei magistrati della Procura distrettuale di Catania e della polizia comprende il periodo compreso tra il 2009 ed il 2010. Al centro c’è Giuseppe Curcio, ex boss del clan ed ora collaboratore di giustizia, che avrebbe ricevuto il permesso dalla cosca Attanasio di operare nello storico quartiere di Santa Lucia, svolgendo, in totale autonomia, ogni affare, dalle estorsioni fino al traffico delle sostanze stupefacenti.
Pizzo e droga
Secondo l’accusa, il pizzo imposto ai commercianti della zona, tra cui bar, un mobilificio ed altre attività economiche, sarebbe servito per finanziare il commercio degli stupefacenti e pagare gli stipendi agli affiliati. Con quel tesoretto, che finiva nelle casse della cosca, Curcio si sarebbe presentato dai fornitori, in particolare il clan Bottaro-Attanasio, per comprare partite di cocaina, hashish o marijuana e poi venderle al dettaglio. Un giro economico da parecchie migliaia di euro che avrebbe trasformato il clan della Borgata in una delle aziende criminali più floride del capoluogo.
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