Era riuscito ad ottenere un seggio dell’Assemblea regionale siciliana al termine delle elezioni del 2012 ma nell’ottobre del 2014, a seguito di un mini tornata in 9 sezioni, tra Pachino e Rosolini, decisa da una sentenza dal Cga di Palermo, Pippo Gianni, ex deputato nazionale, dovette cedere il suo posto a Pippo Gennuso, tutt’ora parlamentare regionale. Ma un’inchiesta della Procura di Roma ipotizzò che quel pronunciamento dei giudici amministrativi sarebbe stato al centro di un presunto caso di corruzione e così il 7 febbraio del 2019 furono tratti in arresto Pippo Gennuso, l’ex presidente del Cga Raffaele Maria De Lipsis, l’ex consigliere della Corte dei Conti, Luigi Pietro Maria Caruso, ed il giudice Nicola Russo. Una vicenda che si è chiusa con il patteggiamento per i primi tre, l’ultimo indagato ha scelto, invece, di farsi processare ma Pippo Gianni diventato sindaco di Priolo, non ha affatto dimenticato questa storia, per cui, attraverso il suo collegio difensivo, composto dagli avvocati Michele Cimino, Massimiliamo Mangano e Valentina Castellucci, ha deciso di fare ricorso al Cga perché vengano revocate le sentenze che hanno disposto le elezioni bis nelle 9 sezioni “per ripristinare la giustizia che è stata violata” dice Gianni a BlogSicilia ma anche per evitare che il caso faccia giurisprudenza.
Secondo la tesi dei difensori di Gianni, il Cga non avrebbe potuto indire una mini tornata elettorale per via dello Statuto della Regione siciliana che dispone “il principio dell’elezione diretta del Presidente della Regione e della contestuale elezione dell’Assemblea regionale siciliana”. Insomma, le elezioni regionali, nella tesi della difesa di Gianni, non potevano e non possono essere frazionate.
La vicenda giudiziaria ruota attorno al ricorso di Gennuso al Cga a seguito della scoperta della sparizione dal tribunale di Siracusa di una parte delle schede relative alle elezioni regionali dell’ottobre del 2012 perse per pochi voti dall’esponente politico di Rosolini. In merito alla scomparsa dei plichi contenenti le preferenze, è in corso un processo che vede alla sbarra un dipendente del tribunale di Siracusa, Cosimo Russo. L’istanza presentata dai legali dell’esponente politico rosolinese fu accolta dai giudici del Cga di Palermo, presieduto da Raffaele Maria De Lipsis, che, accertando l’impossibilità di un riconteggio delle schede per valutare se vi erano stati errori nello scrutinio, nell’ottobre del 2014 disposero una mini tornata elettorale in 9 sezioni, tra Rosolini e Pachino, al termine della quale, Gennuso trionfò, a scapito dell’ex deputato nazionale Pippo Gianni, adesso sindaco di Priolo. Dalle indagini compiute dalla Procura di Roma, quel responso sarebbe stato comprato da Gennuso, che, per i magistrati, avrebbe pagato una tangente da 40 mila euro consegnata nelle mani del suo difensore, Giuseppe Calafiore, stretto collaboratore di Piero Amara, ex legale dell’Eni, entrambi al centro di altre inchieste analoghe delle Procure di Messina e Milano.
Gennuso dopo il patteggiamento ad un anno e due mesi per traffico di influenze ha fatto ricorso chiedendo il proscioglimento per il cambio di imputazione, in quanto originariamente era stato indagato per corruzione, frattanto è stato sospeso, per la seconda volta, dalla carica di parlamentare regionale.
L’ex parlamentare Pippo Gianni, però, critica la scelta della Regione di non presentare ricorso per cancellare quella sentenza. “L’Assemblea Regionale si è costituita – spiega Gianni – nel giudizio solo in qualità di controinteressata, senza alcuna particolare difesa; non ha proposto ricorso anch’essa, come ci aspettavamo. Ciò devo dire che mi ha stupito, e non poco: ed infatti, l’Assemblea regionale siciliana doveva avere un interesse maggiore di quello del sottoscritto rispetto a questa delicata vicenda, che ha distorto la disciplina elettorale regionale. Come lei ben sa, il Parlamento siciliano, in base allo Statuto Regionale, ha il potere esclusivo di disciplinare le elezioni degli organi statutari, ossia Parlamento e Presidente, e di cui l’Ars è estremo ed attento difensore, onde evitare interpretazioni difformi ed applicazioni distorte delle norme di che trattasi”.
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