“Guardi, la Versalis è un nostro cliente, per cui la chiusura dell’impianto è un bel problema”. Lo afferma a BlogSicilia una fonte di Goi Energy, proprietaria delle raffinerie Isab che sono il cuore pulsante del Petrolchimico di Priolo, attorno a cui si regge il sistema industriale.
Parole che danno il senso della misura di quello che scatenerà, nell’immediato futuro, la decisione dell’Eni di chiudere l’impianto cracking di Priolo nell’ottica di un piano complessivo, comprendente anche gli stabilimenti di Brindisi e Ragusa, di riconversione energetica per abbattere le emissioni di anidride carbonica. Insomma, lo spettro di un effetto domino su tutta la zona industriale è tutt’altro che fantasioso come vanno dicendo da giorni i sindacati, tra tutti il segretario della Cgil di Siracusa, Roberto Alosi.
Da parte loro, i sindacati proseguono, sostanzialmente da soli, loro azioni di lotta anche se sono divisi sullo sciopero del 12 novembre, a cui aderiranno Cgil e Uil ma non la Cisl. Nella mattinata di oggi i lavoratori di Cgil e Uil hanno partecipato alle assemblee nelle portinerie degli impianti, tra cui Versalis, Isab, Priolo Servizi e Air liquide per sensibilizzare l’opinione pubblica su quello che potrebbe accadere da qui a pochi anni nella zona industriale.
Quando si parla della zona industriale il discorso non può non scivolare sulla sua capacità economica: da sola vale, come riferiscono dati di Confindustria, oltre il 60 per cento del Prodotto interno lordo della provincia di Siracusa.
Utilizzando il corpo umano come metro di paragone, gli stabilimenti del Petrolchimico sono come il cuore, per cui se smettesse di battere, la conseguenza sarebbe il decesso.
Il tanto declamato turismo, cresciuto negli ultimi, vale il 9% del Pil, sempre da dati di Confindustria: una percentuale interessante ma troppo lontana da poter essere il motore trainante dell’economia locale.
Dunque, se la zona industriale è così strategica per l’economia del Siracusano è sorprendente il silenzio della politica del territorio sulla vicenda, come se il Petrolchimico, per cui lavorano, tra diretti ed indotto, 10 mila persone, e decine di aziende, tra cui metalmeccaniche ed edili, per gran parte tutte siciliane, che ruotano attorno all’orbita dei colossi della zona industriale, fosse una questione di poco conto.
Si contano gli interventi del deputato Ars di FdI, Carlo Auteri, autore di un comunicato di poche righe in cui auspica che ” il governo regionale e quello nazionale- ciascuno per la parte di propria competenza – concludono – interverranno per tutelare e salvaguardare con tutte le forze gli stabilimenti e i livelli occupazionali di Eni in Sicilia, scongiurando sul nascere il pericolo di ogni altra ipotesi” e l’iniziativa del senatore del Pd, Antonio Nicita, che ha chiesto al ministro Adolfo Urso di riferire in aula.
Nelle settimane scorse, prima della notizia dell’Eni, il parlamentare nazionale del M5S, Filippo Scerra, ha annunciato la costituzione di un tavolo tecnico, con i rappresentanti del territorio, tra cui i sindaci dell’area industriale, i sindacati, i parlamentari nazionali e regionali, per discutere del futuro del Petrolchimico.
Una iniziativa salutata con favore dal deputato nazionale di FdI, Luca Cannata, che ha rimarcato i risultati raggiunti dal Governo Meloni con la vicenda Isab Lukoil, “salvaguardando migliaia di posti di lavoro e garantendo la continuità operativa” ha detto l’ex sindaco di Avola. Non c’è traccia di questo tavolo tecnico, forse sconvolto dalla decisione di Eni anche se il colosso industriale ha garantito una riconversione ma non nell’immediato.