Sono state completate le operazioni di salvaguardia e conservazione dei reperti archeologici lapidei che erano stati collocati all’esterno del Palmento Rudinì di Marzamemi dopo il loro recupero avvenuto nel corso della campagna Marzamemi Project 2019.
“Quella realizzata a Marzamemi dalla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana – sottolinea l’Assessore dei Beni Culturali e dell’identità Siciliana, Alberto Samonà – è un’attività che si svolge in diverse fasi e che conta su importanti collaborazioni. A conclusione di un anno molto difficile ma, nonostante tutto fruttuoso, mi sia consentito di esprimere un ringraziamento sincero alla Soprintendente Valeria Li Vigni e ai tanti esperti e funzionari che collaborano al buon andamento delle operazioni di ricerca e conservazione dei beni culturali sommersi, ma anche ai partner, i sub, i diving e i tanti volontari che, unitamente alle Capitanerie di Porto della Sicilia e alle Forze dell’Ordine, sono le vere sentinelle del patrimonio storico custodito nelle nostre acque”.
Gli otto reperti che si trovano a Marzamemi, due dei quali di piccole dimensioni, sono stati collocati all’interno dello stabilimento e messi in sicurezza, in modo da consentire il loro rilievo con il laser scanner. I pezzi recuperati dal mare, dopo essere stati sottoposti a trattamento conservativo, erano rimasti custoditi all’esterno dello stabilimento a causa delle difficoltà operative conseguenti alle misure Covid che hanno alterato la normale logistica della Soprintendenza del Mare e dei partner del progetto di ricerca.
Le operazioni, coordinate dall’archeologo della Soprintendenza del Mare, Fabrizio Sgroi, sono state effettuate dal partner del Marzamemi Project El Cachalote Diving, Matteo Azzaro e dai suoi collaboratori.
“Il particolare periodo che stiamo attraversando – dichiara la Soprintendente Valeria Li Vigni – rende difficile lo svolgimento di operazioni che, in altri momenti, sono state realizzate con tempistiche minori. La Sopmare continua a mostrare grande attenzione per il patrimonio archeologico sommerso grazie alla solerzia dei propri collaboratori tra cui, in questo, caso Matteo Azzaro che ha collaborato attivamente alla messa in sicurezza delle opere per consentire le analisi e lo studio dei reperti”.
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