Torna in carcere, Antonino Sudato, condannato all’ergastolo, in applicazione del ‘decreto antimafia’ del ministro Bonafede e su iniziativa del Dap. Era uno dei condannati finiti ai domiciliari su disposizione dei magistrati per ragioni di salute.
Antonino Sudato, 67 anni di Avola, che prima dei domiciliari era detenuto nel carcere di Sulmona, era stato il primo ergastolano in Italia, – condannato per estorsione, associazione mafiosa ed omicidi – ad essere tornato a casa.
L’ergastolano è difeso dall’avvocato Antonino Campisi, autore dell’istanza che era stata accolta dal magistrato di sorveglianza di L’Aquila, motivando la decisione “per l’incompatibilità del detenuto con la vita carceraria per motivi di salute e per il rischio di contagio da coronavirus, che in una persona con rilevanti patologie può seriamente aggravare il proprio stato di salute”, aveva affermato Campisi.
Dopo la concessione dei domiciliari il suo legale aveva dichiarato: “Molta soddisfazione per quanto statuito dal magistrato di sorveglianza di L’Aquila che, facendo propri i principi del diritto alla salute sanciti dalla nostra Costituzione e dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo, ha saputo rivestire quel ruolo principale a cui è proposto: la salvaguardia dei diritti del detenuto. E’ il primo caso in Italia. Oggi solo grazie alla Magistratura si riesce ad ottenere quei diritti che la politica non è in grado di tutelare e salvaguardare, facendo riforme atte ad accontentare solo quel ristretto elettorato di bandiera e non a garantire il Diritto alla vita di ogni cittadino, soprattutto, di quei cittadini che soffrono in carcere in uno stato di degrado igienico-sanitario e di abbandono”.
La questione dei boss scarcerati durante l’emergenza sanitaria ha provocato un terremoto anche politico. Tanti i detenuti condannati per mafia che hanno lasciato la cella in considerazione del loro stato di salute raggiungendo le rispettive abitazioni.
Sulle scarcerazioni era intervenuto anche il governatore Musumeci rivolgendosi al premier Conte e ai ministri dell’Interno Lamorgese e della Giustizia Bonafede, affinché si valutassero misure alternative alla scarcerazione.
Il governatore siciliano aveva dichiarato: “Esistono ragioni di sicurezza, di ordine pubblico e di buon senso per dire no al rientro di alcuni detenuti pericolosi nei luoghi dove vivevano e dove hanno commesso gravi reati. Ecco perché certe decisioni lasciano sbigottiti. E l’incredulità che provano alcuni magistrati, da sempre in prima linea, è la stessa che sta provando la gente comune. Se proprio si rende necessario assegnare agli arresti domiciliari a personaggi mafiosi di spessore, allo scopo di decongestionare le carceri in questo periodo di epidemia, si prendano assolutamente in considerazione soluzioni diverse”.
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