“Non è un provvedimento di confisca definitiva, ma semplicemente una richiesta di confisca operata dagli inquirenti e richiesta al Tribunale di Catania – Sezione Misure di Prevenzione”.

La vicenda

Lo afferma l’avvocato Antonino Campisi, difensore di Giuseppe Caruso, destinatario nei giorni scorsi di un sequestro di beni, disposto dal Tribunale di Catania,  tra cui conti correnti, veicoli ed un’impresa, denominata Caruso group srls, in quanto, secondo la tesi della Dda di Catania, sarebbero stati accumulati con attività illecite. Per i magistrati, Caruso, detto u Caliddu, originario di Avola, nel Siracusano, è un affiliato della cosca mafiosa Trigila di Noto, responsabile di numerose estorsioni ai danni di commercianti ed imprenditori della zona sud della provincia.

Udienza a settembre, “nulla di definitivo”

Il legale di Caruso precisa che, in merito al sequestro, il Tribunale “ha fissato udienza di discussione all’11 settembre prossimo per chiarire ogni questione attinente alla difesa, pertanto preme precisare che nessun sequestro definitivo è stato notificato al signor Caruso  e ai terzi interessati”.

“I beni non ascrivibili di Caruso”

A proposito dei beni in questione, lo stesso legale precisa la loro origine.  “Si tratta di una Mercedes classe A, di seconda mano, la cui immatricolazione – dice l’avvocato Antonino Campisi – risale a ben oltre dieci anni fa, intestata all’ex convivente e comprata da quest’ultima con i propri redditi di provenienza lecita derivanti da lavoro dipendente, un motociclo Honda SH del 2018 ed una Fiat Panda intestata ad un ragazzo che non è assolutamente figlio e convivente del Sig. Caruso Giuseppe, ma figlio della sua ex compagna nato da una precedente relazione, il cui mezzo è stato acquistato dal padre naturale e dal suo consuocero, pertanto i tre mezzi per cui gli inquirenti hanno richiesto il sequestro non sono ascrivibili al Sig. Caruso Giuseppe, detto “u caliddu”.

“Oggi le misure di prevenzione – argomenta il legale – si basano esclusivamente sul criterio del “più probabile che non” e non sulla sacrosanta regola “dell’oltre ogni ragionevole dubbio, per cui basta il semplice “fumus”, per far sì che gli inquirenti possano richiedere una misura di prevenzione atta a rovinare non solo la vita del proposto, ma soprattutto quella di persone terze interessate che non hanno nulla a che vedere con il destinatario della misura”