Il collasso della domanda di petrolio provocata dalla pandemia e dai lockdown in tutto il mondo, ha innescato un crollo storico del prezzo sul Wti (il marker per i produttori Usa), di oltre il 100% a New York, portandolo a livelli mai visti prima in territorio negativo: il prezzo per barile per le consegne di maggio è sceso sotto zero dollari. La motivazione sta nel fatto che nessuno vuole più il petrolio perché non si sa dove metterlo: le scorte sono al massimo, le aree di stoccaggio sono a un passo dalla saturazione, e nessuno prevede una ripresa a breve delle attività economiche e produttive capace di assorbire il surplus presente sui mercati.
L’accordo raggiunto due settimane fa dai Paesi Opec, Russia e, indirettamente, Stati Uniti per un taglio della produzione di quasi 10 milioni di barili al giorno, non ha prodotto gli effetti sperati sui mercati. Si stima infatti che la domanda mondiale (100 milioni di bpg prima del Coronavirus) sia calata di almeno 20 milioni. I timori degli investitori sono aumentati dopo che l’Energy Information Administration (EIA) degli Stati Uniti ha fornito i dati sulla saturazione dei principali hub americani che, nel complesso, hanno visto il loro spazio di stoccaggio passare dal 50 al 57% in un mese. A rendere più marcato il crollo del prezzo del Wti e ad aumentare lo spread con il Brent è stata la decisione del Us Oil Fund, il fondo petrolifero americano da 3,8 miliardi di dollari, di apportare significativi aggiustamenti al suo portafoglio, chiudendo il 20% delle sue posizioni.
Il lockdown mondiale ha lasciato aerei a terra, navi all’ancora e autostrade deserte, assestando uno dei colpi più duri della storia al mercato del greggio: il settore dei trasporti rappresenta circa il 50% della domanda di petrolio (benzina, cherosene). Ma a pagare il prezzo più alto al crollo della domanda, saranno i produttori americani. Affinché lo scisto (shale oil) sia remunerativo, si calcola che il prezzo del greggio non debba scendere al di sotto della soglia dei 35-40 dollari al barile.
Si intravedono quindi i primi segnali di un collasso energetico. Il primo aprile Whiting Petroleum ha dichiarato bancarotta. Negli stessi giorni anche la Calleon Petroleum ha attivato advisors per ristrutturare i suoi debiti. E come riporta il Financial Times, i dati hanno mostrato che il numero di piattaforme petrolifere attive negli Stati Uniti è diminuito di oltre un terzo nell’ultimo mese, ma il parziale stop all’estrazione non ha fatto aumentare il prezzo dei barili, dal momento che nessuno li sta richiedendo per la questione dello spazio di stoccaggio.