Si è concluso con cinque condanne il processo di primo grado a carico di un gruppo di uomini accusati di estorsione e tentata estorsione ai danni di un ristoratore di Scoglitti, frazione marittima di Vittoria. Il Tribunale Collegiale di Ragusa, pur riconoscendo il metodo mafioso, ha escluso l’aggravante dell’appartenenza e dell’agevolazione ad associazione mafiosa, infliggendo pene inferiori a quelle richieste dal Pubblico Ministero.
Le indagini, condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo Provinciale di Ragusa e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, hanno ricostruito una lunga serie di episodi estorsivi iniziati nel 2014 e protrattisi fino al 2020, con l’esclusione del 2015 durante il quale il locale era chiuso. L’incubo del ristoratore si è concluso solo grazie alla sua coraggiosa decisione di denunciare i soprusi subiti.
Il collegio giudicante, presieduto dal giudice Frizilio, ha condannato Massimo Melfi a 9 anni e 6.000 euro di multa, Rosario Nifosì a 7 anni e 5.500 euro di multa, Marco Nuncibello a 3 anni e 2.500 euro di multa, Angelo Ventura a 8 anni e 5.500 euro di multa e GBattista Ventura a 7 anni e 5.500 euro di multa. Tutti i condannati, ad eccezione di Melfi, sono stati assolti da alcuni capi d’imputazione. La Corte ha inoltre disposto la scarcerazione di Nuncibello.
Il Pubblico Ministero, al termine della sua requisitoria, aveva chiesto pene ben più severe, invocando l’aggravante del metodo mafioso e della recidiva: 15 anni e 12.000 euro di multa per GBattista Ventura e Rosario Nifosì; 16 anni e 14.000 euro di multa per Angelo Ventura; 17 anni e 15.000 euro di multa per Massimo Melfi; 8 anni e 6.000 euro di multa per Marco Nuncibello.
Le difese degli imputati si erano battute per l’assoluzione o, in subordine, per una riqualificazione dei reati e il riconoscimento di attenuanti, sostenendo l’assenza di metodo mafioso, la marginale partecipazione ai fatti e l’assenza dell’elemento psicologico del reato.
Il Tribunale ha stabilito che il risarcimento danni alle parti civili, costituite dai ristoratori e dall’associazione antiracket “Rete per la Legalità”, dovrà essere determinato in sede civile. I condannati dovranno comunque provvedere al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere, oltre a quelle sostenute dalle parti civili.