Ragusa

False residenze per i permessi di soggiorno, gli indagati non rispondono al gip

Hanno scelto la via del silenzio le sei persone sottoposte a misura cautelare dal gip su richiesta della procura di Ragusa con l’accusa di favoreggiamento dell’ingresso e della permanenza sul territorio nazionale di extracomunitari. In tribunale, per gli interrogatori di garanzia, i sei si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Gli interrogatori si sono svolti davanti al gip Ivano Infarinato. In tutto sarebbero circa quaranta le persone coinvolte, compresi i migranti che avrebbero ottenuto la residenza in maniera non lecita.

Il modus operandi

Secondo l’accusa gli indagati utilizzavano 13 abitazioni di Ragusa per il tempo necessario per permettere a migranti, prevalentemente tunisini, in cambio di “corpose somme di denaro”, di ottenere, tramite la complicità di due operatori comunali, la residenza anagrafica, indispensabile per la presentazione di istanze di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno o anche per il ricongiungimento familiare.

Gli indagati

Tre indagati, compresa una donna, sono stati sottoposti agli arresti domiciliari; un’altra donna all’obbligo di dimora nel Comune di Ragusa; per due operatori comunali è scattata la sospensione dell’esercizio di un pubblico ufficio o servizio. Quest’ultimi due, secondo l’accusa, “a fronte della corresponsione di denaro omettevano di eseguire la verifica, limitandosi a dei controlli blandi e superficiali comunicando successivamente all’ufficio anagrafe il superamento dell’accertamento, in virtù del quale veniva successivamente concessa la residenza anagrafica nel Comune di Ragusa”. Due degli destinatari della misura cautelare gestivano un centro di assistenza per stranieri a Ragusa. Secondo la Procura “uno degli arrestati avrebbe svolto un ruolo centrale: teneva i contatti stretti con i due operatori comunali e accompagnava e indirizzava gli stranieri nelle abitazioni, a loro ignote, nelle quali avevano richiesto di fissare la residenza e di farli trattenere per il tempo strettamente necessario al controllo dell’operatore”. L’inchiesta si basa su indagini della Squadra Mobile della Questura di Ragusa.

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