Mezzogiorno a un passo dal baratro: l’opinione di Pietro Busetta su TalkSicilia

  • I fondi del Recovery Plan non saranno sufficienti a colmare il divario tra la Sicilia e l’Europa
  • “In Sicilia esiste una classe dominante che non lavora per il bene comune ma per gli interessi dei propri clientes”
  • Alla nostra regione mancano 900 mila posti di lavoro per essere in media con l’Europa. La situazione potrebbe peggiorare con lo sblocco dei licenziamenti
  • Per l’economista “i fondi pubblici non saranno mai sufficienti a colmare il divario con il resto dell’Europa e il Paese”

 

“Il problema del Mezzogiorno non è un problema del mezzogiorno ma del Sistema Paese. E dell’Europa. Questo a Bruxelles lo sanno e per questo  motivo l’Italia è lo Stato che avrà la maggior quantità di fondi dal Recovery  Fund. Però, da soli,  i soldi pubblici non saranno mai sufficienti a risolvere il problema del Sud e della Sicilia”. E’ la tesi di Pietro Busetta, economista e saggista, che ha preso parte alla seconda puntata di TalkSicilia, il quindicinale di approfondimento social, prodotto da Siciliaondemand,  ideato da Salvatore Burrafato  e condotto da Piero Messina.

L’atto d’accusa di Busetta è preciso e dettagliato. La discussione sui fondi del Recovery plan rischia di essere solo fiato sprecato. L’economista indica quelli che ritiene i principali nodi: “in Europa il tasso di occupazione è di 2 persone su 4 abitanti. Per arrivare a questo obiettivo, alla Sicilia mancano più di 900 mila posti di lavoro, contando anche il sommerso e senza pensare a quel che potrebbe succedere al momento dello sblocco dei licenziamenti. E’ un problema che riguarda l’intero Mezzogiorno e i suoi 21 milioni di abitanti”.

Per spiegare quale sia l’ordine di grandezza del dramma economico e sociale del Sud, Busetta prende ad esempio il possibile collegamento ad Alta velocità ferroviaria tra Salerno e Augusta. “Solo per quella  dorsale servono interventi da oltre 50 miliardi di euro”.  Senza quell’opera, la Sicilia verrà tagliata fuori dai sistemi economici e produttivi che collegano il Mediterraneo alle terre orientali.

Busetta parla anche di diritti negati e di mancata applicazione dei principi costituzionali. “I cittadini italiani non sono tutti eguali. Ci sono quelli di serie A e quelli di serie B. Un ragazzo di Messina non è eguale a uno di  Reggio Emilia. Alla fine dovrà scegliere di andare via dalla Sicilia,  se punta ad ottenere una formazione universitaria di livello e delle chance di lavoro per il suo futuro. Questo ragionamento vale anche per la sanità e per la mobilità. Se lo Stato Centrale non interviene, se Bruxelles non interviene, adesso si rischia di far collassare l’intero sistema Paese”.

Busetta sfugge alla tentazione della retorica assolutoria. “Abbiamo avuto e abbiamo l’Autonomia in Sicilia. Ed è stato come mettere in mano a un bambino un coltello molto affilato. Di chi sono le responsabilità? La risposta logica è una sola:  è nostra. Perché noi abbiamo eletto i nostri rappresentanti. Se non riusciamo a difendere i nostri diritti dobbiamo farcene carico. Il risultato è un Mezzogiorno a sviluppo ritardato. Non abbiamo una classe dirigente bensì una classe dominante ed estrattiva,  che non ha  per obiettivo il bene comune, ma gli interessi dei propri clientes, dei propri raccomandati. E’ un sistema che possiamo definire democratico sino a un certo punto. Non è un fenomeno assoluto, ma la selezione della classe politica avviene anche attraverso un grande voto di scambio”.

Busetta chiama in causa anche i partiti politici: “non fanno la lista dei migliori, ma candidano coloro che hanno capito il meccanismo del consenso.  Per questo i risultati dell’Autonomia vanno giudicati più che pessimi. Abbiamo alimentato un terreno di coltura per una classe dominante che si tramanda il potere di padre in figlio. anche se poi i padri vanno in galera. Altro che autonomia”.

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