È un duello senza esclusione di colpi quello andato in scena nella prima puntata di “Testa a testa”, il nuovo format  che intende alimentare il confronto  sui nervi scoperti della Sicilia. Alla prima puntata abbiamo parlato delle Province.
“Soppresse ma ancora vive”, come recita il titolo della trasmissione, questi enti vagano da undici anni in un limbo istituzionale, tra commissariamenti eterni, promesse elettorali disattese e un voto di secondo livello fissato per il prossimo 27 aprile, ma già minacciato da un ricorso al Tar. A condurre il dibattito, il direttore de Ilfogliettone.it Gaetano Mineo, che ha messo a confronto due pesi massimi dell’Assemblea Regionale Siciliana: Ignazio Abbate, presidente della Commissione Affari Istituzionali, esponente della Democrazia Cristiana, e Mario Giambona, vice capogruppo del Partito Democratico e membro della stessa Commissione.

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Un’eredità controversa

Il caos delle Province siciliane affonda le radici nella legge Del Rio del 2014, un colpo di scena normativo che ha decapitato gli enti senza però spegnerli del tutto. A complicare il quadro, una gestione regionale altalenante, segnata da scelte discutibili e rinvii senza fine. “Tutto nasce da Crocetta”, tuona Abbate, puntando il dito contro l’ex governatore della Sicilia. “In una trasmissione tv decise di cancellare le Province con un colpo di spugna, senza pensare al domani”. Tradotto: via il governo degli enti, ma non i loro compiti. Risultato? Un’agonia burocratica che dura da oltre un decennio. Tuttavia, il deputato Dc si dice “fiducioso” che un nuovo governo possa ridare “adrenalina” alle Province, ma il percorso verso le elezioni di aprile è una corsa a ostacoli. Un ricorso al Tar potrebbe mandare tutto all’aria. “Un rinvio sarebbe oltraggioso per i siciliani”, sbotta Giambona, che accusa la maggioranza di Renato Schifani di “procrastinazione cronica”. Abbate, pur contrario al ricorso, ammette i limiti del voto di secondo livello: “Non garantirà una rappresentanza omogenea, come previsto dalla legge”.

Un futuro nel deserto

Ma il vero nodo, su cui entrambi concordano, è cosa succederà dopo il 27 aprile. Giambrone dipinge un quadro apocalittico: “Chi vincerà troverà il nulla. Zero dipendenti, zero funzionari. Servono concorsi immediati e competenze per agganciare i fondi europei”. Abbate, più cauto, scommette su una “programmazione seria” e sulla caccia a risorse extra-regionali, ma non nasconde le difficoltà: “Senza personale e organizzazione, sarà una battaglia durissima”.

Schieramenti in campo

Sul fronte politico, il centrodestra di Schifani parte in pole position: una coalizione di sei partiti, un candidato Presidente unico per ogni libero consorzio in un sistema di voto ponderato che alza l’asticella – 5% per le liste, 15% per i Presidenti – rischiando di tagliare fuori i pesci piccoli. “I nomi? Ancora da definire”, confessa Abbate, lasciando intravedere qualche tensione all’interno del centrodestra. Il centrosinistra, invece, è un cantiere aperto. Giambrone rivendica la forza del Pd, radicato tra sindaci e amministratori, e apre a un’alleanza con M5S e civiche. Liste separate ma programma condiviso – viabilità, scuole, ambiente – sono l’ipotesi sul tavolo. “Non è una questione di poltrone, ma di servizi”, puntella l’esponente dem, schivando le domande sui dettagli.

Affondi e scenari

Il finale è un fuoco di fila. Abbate lascia la porta socchiusa a un “pit stop” di governo a metà legislatura (“Decide Schifani”) mentre Giambona va all’attacco: “Serve un rimpasto totale. Sanità a pezzi, infrastrutture ko e il Ponte sullo Stretto? Un disegnino costato 1,3 miliardi”. Una stoccata che promette scintille nelle prossime puntate di “Testa a testa”. Intanto, il futuro delle Province siciliane resta un rebus: tra ricorsi, promesse e un deserto amministrativo, la partita è tutt’altro che chiusa.