“Bisognerebbe ricominciare a parlare di sanità come valore e come investimento di un Paese, non come uno spreco di risorse perché chi aggredisce un medico, aggredisce tutta la collettività e l’intero Servizio sanitario pubblico. Perseverare nella sottostima dell’incidenza del precariato e dell’organico insufficiente nei fenomeni di aggressioni negli ospedali è gravissimo perché sono tra i motivi scatenanti che condizionano la qualità e la certezza delle cure. La vita ospedaliera spesso non conosce riposo e le ore di lavoro durissimo rendono difficile non solo la relazione medico paziente, ma anche tra professionisti. Attriti e tensioni tra colleghi alimentate dalla stanchezza per i turni massacranti a cui medici e personale sono obbligati per la carenza di personale”.
Così Toti Amato, presidente dei medici della provincia di Palermo, in apertura di una giornata dedicata al diritto della garanzia e al dovere del fare per l'”Emergenza violenza nelle strutture sanitarie”, che si è svolta ieri a Villa Magnisi (sede dell’Omceo di Palermo) in collaborazione con il sindacato dei medici ospedalieri Cimo.
Oltre all’assessore regionale della Salute Ruggero Razza e al presidente nazionale del Cimo (Confederazione italiana medici ospedalieri) Guido Quici, ha partecipato una folta platea di rappresentanti del mondo istituzionale, medico e sindacale.
Sul precariato in Sicilia, ha fatto il punto l’assessore Razza, sottolineando che, pur nelle difficoltà, il governo regionale ha dimostrato grande attenzione con i concorsi per MCAU (Dirigente Medico di Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza) appena avviati per entrambi i bacini: “E’ già in Gazzetta ufficiale – ha dichiarato – l’avviso relativo alla Sicilia occidentale e alcuni giorni fa è stato pubblicato anche quello per la Sicilia orientale”.
“Siamo disponibili a fare la nostra parte – ha proseguito l’assessore regionale – nella misura in cui anche il governo nazionale metta la necessaria attenzione per la crescita del fondo sanitario regionale, che rischia un sostanziale decremento già da quest’anno. Ma è necessario, soprattutto, che il governo superi quell’odiosa e inutile regola che ancora il tetto di spesa del personale al 2004 ridotto dell’1,4 per cento senza permettere alle regioni di sforare e di operare un’autonoma valutazione dell’utilizzo di propri fondi, bloccando un Paese a una condizione di organici vecchia di 15 anni”.
“C’è poi il tema dei presidi di continuità territoriale e degli standard di sicurezza da adottare in tutte le guardie mediche siciliane. Abbiamo dato la possibilità a tutte le aziende ospedaliere provinciali di recuperare il tempo perduto – ha spiegato Razza – dotandole di risorse per ammodernare le strutture, alzare lo standard qualitativo di lavoro e predisporre quei presidi di sicurezza che dovevano essere già presenti da diversi anni. Oggi, c’è una significativa evoluzione dei cinque presidi di controllo che ci ha portato quasi al 70 per cento della qualità delle strutture, soprattutto con riferimento alla sicurezza. Entro i primi mesi del 2019 il nostro impegno sarà la riqualificazione dell’intero sistema”.
Del ruolo dei medici ha parlato invece Guido Quici, presidente nazionale del sindacato dei medici Cimo (Confederazione italiana medici ospedalieri), evidenziando che gli operatori sanitari sono l’anello terminale di un processo organizzativo che non funziona.
Secondo Quici “la strada non è quella giusta perché si continuano a fare interventi spot, rafforzando il presidio di polizia, installando video camere ed altri sistemi di sicurezza” senza dare il giusto valore alla professione. “Ma i medici dovrebbero una volta per tutte cacciare fuori la testa e rimarcare il proprio ruolo e i propri diritti”.
“E’ necessario ripartire dall’articolo 70, dal ruolo dei medici che devono esercitare la loro professione con tranquillità; proseguendo con la Raccomandazione 8, messa in campo dal ministero della Salute per monitorare le aggressioni ai danni degli operatori sanitari allo scopo di prevenirle, ma rimasta inapplicata. Da un’indagine condotta su tutto il territorio nazionale – ha denunciato Quici – su 821 aziende hanno risposto al questionario solo il 40 per cento circa, riferendo di avere realizzato le disposizioni contenute nella raccomandazione. Dopo una verifica, si è visto che per alcune strutture non era vero, altre le avevano ignorate. C’è dunque un difetto di comunicazione, che si aggiunge a un disinteresse generalizzato, come nel caso della sicurezza nei luoghi di lavoro prevista dalla legge 81”.
“Abbiamo chiesto, infatti, a tutte le aziende ospedaliere italiane di inserire nel documento di valutazione del rischio anche la tutela dell’operatore sanitario dalle aggressioni. Hanno risposto solo due aziende”, ha concluso il presidente del Cimo.
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