Un quadro drammatico viene fuori da uno studio pubblicato sui dati Istat, che analizza nel dettaglio le chiamate del primo trimestre 2022 al numero pubblico nazionale anti-violenza 1522. Lo studio, pubblicato in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre, fa emergere una situazione di allarme. Sono 143 le chiamate al numero in Sicilia nel primo trimestre del 2022.
Picco di violenze durante il lockdown
Le chiamate raccolte al numero antiviolenza prendono in considerazione i dati raccolti a partire dal 2018, che seguono un andamento gradualmente in discesa almeno fino al 2020, quando sono state registrate 2.103 richieste di aiuto. Il quadro sembra essere rapidamente precipitato in concomitanza con il lockdown, che ha portato le donne a trascorrere molto più tempo in casa, aggravando molte delle dinamiche familiari che sfociano in azioni violente. A partire dal primo trimestre del 2020 le chiamate al 1522 aumentano vertiginosamente, fino a toccare il picco delle 4.310 chiamate annue all’inizio del 2021. La situazione sembra poi “normalizzarsi” nel corso del 2021, registrando una diminuzione dei casi, che scendono alle 2.966 segnalazioni del 2022.
Chi sono le donne vittime di violenza secondo l’Istat
Il report ISTAT rivela molte altre informazioni circa le donne che denunciano gli abusi subiti, come ad esempio la provenienza geografica. La regione che ha il triste ruolo di capofila è la Lombardia, con 495 chiamate registrate nel primo trimestre nel 2022, seguita da Lazio (388) e Campania (295). All’estremo opposto Basilicata (16), Molise (13) e Valle d’Aosta, anche per via della bassa densità abitativa di queste piccole regioni. La maggioranza delle vittime risulta avere un’età compresa tra i 35 e i 45 anni (39,5%), sebbene anche il 2% dei minorenni si rivolga al 1522. A subire le violenze sono soprattutto donne nubili (42,7%) o coniugate (33,7%), per la maggior parte in possesso di un’occupazione (35,7%) e di nazionalità italiana (83,7%). Il fatto che si tratti soprattutto di violenze domestiche, è dimostrato dal fatto che il maltrattante è il marito/moglie della vittima nel 31% dei casi, ma anche il suo convivente nel 13,9% dei casi e l’ex partner nel 10,9%. Purtroppo, tra gli autori degli abusi spiccano anche i genitori (5,3%), i figli (4,3%), fratelli e sorelle della vittima (2,7%).
Le violenze sulle donne in presenza di figli
Le vittime che nel primo trimestre del 2022 hanno segnalato gli abusi sono perlopiù vittime senza figli (37,8%), seguite dalle vittime con figli minori (30,1%) e con figli maggiorenni (23,9%). Il 34,4% delle vittime dichiara che i figli assistono alle violenze ma non ne subiscono, mentre il 13,2% subisce a sua volta le violenze del maltrattante. Nel 32,1% dei casi, invece, i figli non assistono né subiscono alcun tipo di violenza. Il 3,6% delle vittime dichiara di non sapere se i figli vengono maltrattati. Le conseguenze nei confronti dei figli sono disastrose, tra inquietudine (26,3%), aggressività (5,3%) e disturbi del sonno (1,1%). Non è insolito il verificarsi di un atteggiamento iperprotettivo nei confronti del genitore maltrattato, con comportamenti di accudimento registrati nel 4,7% dei casi.
Il ritratto dell’abusatore
Cosa dicono i dati raccolti in merito all’abusatore? Si tratta nel 90,6% dei casi di un uomo di nazionalità italiana, appartenente alla cerchia familiare, in quanto si tratta del marito nel 39,1% dei casi o del compagno nel 36,3%. La distribuzione anagrafica è piuttosto omogenea, con una prevalenza del target 35-44 anni (21,5%) e 45-54 anni (22,4%). Nel 47,2% dei casi si tratta di un uomo in possesso di un’occupazione stabile, disoccupato (12%) o pensionato (10%), in possesso di una licenza media superiore (54,8%) o inferiore (23,3%) dei casi. Ma non mancano casi di abusatori laureati nel 19,4% dei casi.
I mille volti della violenza
Le percosse rientrano tra gli abusi più denunciati dal 44,1% delle vittime nel primo trimestre del 2022, seguite dalle violenze psicologiche (34,1%), che possono manifestarsi sotto forma di offese, insulti, umiliazioni, svalutazioni, possessività e limitazione delle libertà personali. Seguono le violenze sessuali (6,1%), che vengono perpetrate anche nei confronti del proprio partner e le minacce (5,8%), che si verificano soprattutto quando la donna è in una posizione di dipendenza economica o ha paura di perdere i propri figli. Molestie sessuali (1,5%) e violenze economiche (1,3%), chiudono questo triste quadro.
Le conseguenze sul comportamento delle vittime
Gli episodi violenti, di qualsiasi tipo essi siano, producono sempre delle serie conseguenze a livello psicologico, tanto da portare la vittima a modificare i propri comportamenti per il terrore di dover rivivere la violenza. La maggior parte delle donne prova un grave stato di soggezione (23,9%), ha paura per la propria incolumità (23,8%) e avverte una forte ansia (20,4%). Nelle situazioni più gravi, la donna ha paura per l’incolumità dei propri cari (1,3%) e ha persino paura di morire (3,5%), cosa che spesso porta ad una situazione di subordinazione totale nei confronti dell’abusatore. Ma ci sono anche i casi in cui una donna si sente molestata, ma non effettivamente in pericolo (9,7%).
Pochissime le denunce a fronte dei tanti casi di violenza
A dimostrazione del fatto che sono ancora poche le donne che trovano la forza di reagire e cercare il supporto presso le istituzioni, c’è il dato preoccupante secondo cui soltanto il 4,3% delle vittime denuncia gli episodi di violenza. Tra i motivi della mancata denuncia risalta il timore di non voler compromettere la famiglia (16,6% dei casi), la paura del violento (16%), la mancanza di un posto sicuro dove andare (8,6%) o il timore di deludere la famiglia (3,4%). Purtroppo, come dimostrano i dati, a ostacolare la denuncia c’è anche sfiducia nei confronti delle istituzioni (2,3%), in particolare delle Forze dell’Ordine, che invitano la vittima a non denunciare (3,5%), oppure perché c’è già stata una denuncia ma non è successo niente (0,2%). Tra le pochissime donne a denunciare sono anche in molte a ritirare la denuncia. I motivi? Su tutte la “riconciliazione” con il maltrattante (25,8%), che spesso viene perdonato anche se poi reitera puntualmente il comportamento violento; la paura di ulteriori violenze (13,5%) e il desiderio di mantenere la famiglia unita (21,3%).
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