Mancano, ormai, davvero pochi giorni alla chiamata alle urne per le elezioni Europee e in questi pochi giorni cerchiamo di proporvi il maggior numero di candidati possibili per consentivi di scegliere chi votare, chi, insomma, più si avvicina alla vostra idea d’Europa.
A Talk Sicilia oggi c’è Lidia Tilotta, candidata del PD nel collegio Isole. Si tratta di una collega, che ha scelto di lasciare momentaneamente il lavoro di giornalista per schierarsi da una parte e candidarsi. Perché?
Mi è stato chiesto dal Partito Democratico come candidata indipendente, ci ho riflettuto tanto perché il mio è un ruolo abbastanza delicato. Sono partita dall’analisi di ciò che ho fatto in questi anni e io in questi anni ho avuto un impegno “politico” nel senso puro della parola. Ho scritto due libri sui diritti e ne ho parlato soprattutto con i ragazzi delle scuole e con le associazioni. Questa esperienza mi ha portato a dire che forse oggi tornare a un impegno politico più diretto poteva essere un’occasione da sfruttare. Fino ai miei vent’anni sono stata anche dirigente, oltre che militante, di un’organizzazione giovanile la Federazione giovanile comunista italiana. Non ho mai rinnegato il mio passato, ne vado orgogliosa, così ho pensato potesse essere una bella scelta da portare avanti e quindi ho accettato.
Una politica con spirito di servizio ma con l’idea che la politica possa essere altro. C’è distanza tra chi fa politica e i cittadini, dobbiamo ripensare questo modello e renderlo partecipato. Continuo a pensare che la politica sia gestione della complessità e allora il Parlamento europeo da un lato deve occuparsi di grandi questioni, però deve avere un’altra capacità, quella di ascoltare i territori e i loro bisogni. Chi sta in Europa deve dialogare con gli altri livelli istituzionali, con chi sta nel Parlamento nazionale, in quello regionale e giù fino ai presidenti di circoscrizione delle città.
Vero, non facciamo le leggi, ma possiamo essere decisivi in questo tipo di politica. Noi siamo già per l’idea di un welfare condiviso in tutta Europa, di un’Europa che tuteli i diritti e che sblocchi il cosiddetto ascensore sociale che è fermo da un po’. Chi non veniva da famiglie agiate ha potuto fare quello che voleva perché quell’ascensore sociale era sbloccato. Adesso non è così. Allora bisogna pensare a un piano per il lavoro che intervenga a livello europeo sui salari, sul rafforzamento della contrattazione collettiva, che intervenga sulle questioni della sicurezza e che dia nuovi diritti per i nuovi lavori. Non è uno slogan, è una cosa che concretamente si può fare, a questo serve lavorare al Parlamento europeo.
Infatti deve tornare centrale. Bisogna lavorare insieme perché dobbiamo affrontare i problemi delle persone e i problemi diciamo generali. Non possiamo non ragionare insieme con i Paesi del Nord Africa su tutte le tematiche che sono quelle agricole o della pesca. Va fatto un ragionamento comune e in alcune fasi si è provato a farlo, ci sono state delle politiche ma adesso siamo fermi. Il ruolo della Sicilia nel Mediterraneo e in Europa va rimesso assolutamente al centro dell’agenda politica, è fondamentale anche rispetto al ruolo dell’Europa stessa e di questa Europa in quello che è il nuovo ordine geopolitico mondiale, non più quello che ha ispirato il Manifesto di Ventotene. Noi stiamo andando in una direzione di un assetto globale completamente diverso ce lo dicono le guerre in corso.
C’è bisogno di costruire. Bisogna spiegare alle persone che senza i fondi comunitari non andremo da nessuna parte. Bisogna fare in modo che si intervenga sulle politiche, a partire dalla politica agricola comunitaria. Prendiamo come esempio la siccità: l’idea deve essere quella di avere un progetto di lunga durata, di visione, dobbiamo mettere insieme elementi e tecnologie per affrontare il problema di una risorsa che sarà sempre più scarsa e sempre più preziosa. Dobbiamo ragionare sulla visione complessiva, non su quella segmentata. Perché potremmo spendere anche fino all’ultimo centesimo di fondi europei, ma non sarà servito a nulla se non cambiamo l’approccio. A quel punto le persone capiranno che l’Europa è vicina. Non ci sarà neanche più bisogno di dire che dobbiamo andare a votare.
Abbiamo un problema serio, l’Europa deve decidere che cosa vuole fare: sul conflitto in Ucraina non possiamo continuare a discutere solo di armi, dobbiamo avere un ruolo nella gestione dei negoziati per la fine di questo conflitto. Così come non possiamo non condannare il massacro che sta continuando ad avvenire in Medio Oriente, con Netanyahu che sta facendo delle cose che vanno condannate. Dobbiamo decidere che cosa vuole essere l’Europa, come vuole intervenire su queste questioni e che ruolo vuole avere. L’idea fondamentale è la cessione di sovranità, il pensare a un’Europa che in politica estera e della difesa sia un’unica Europa. Quello è imprescindibile, altrimenti continueremo a non avere un ruolo.