Denaro sterco del diavolo. La demonizzazione della ricchezza non è solo frutto di un popolano pensiero comune, ma anche l’assunto di teorie professate da noti pensatori. Ad esempio Proudhon, esponente nel secolo XIX del cosiddetto “socialismo utopistico”, predicò l’abolizione della moneta da sostituirsi con lo scambio diretto dei beni; né manca, in tanti filosofi anche di diverso credo ideologico, una palese avversione all’accumulo capitalistico.
Il siciliano Guglielmo Peralta, scrittore, saggista, poeta palermitano, torna sul tema caro a Proudhon con il libro “La società felice” edito da Aletti.
A distanza di due secoli, Peralta, come Proudhon, individua nel denaro, nell’ossessione di possederlo e nell’ansia di moltiplicarne la quantità, la causa di tanti conflitti tra gli uomini e di molte storture della vita sociale.
Nel suo saggio, Peralta sostiene che l’abolizione della moneta condurrebbe ad un nuovo “capitalismo”, non più alimentato dal denaro ma dai valori e, soprattutto, dalla forza della solidarietà che unisce gli uomini.
In un sistema economico in cui lo scambio non è più legato al denaro– sostiene Peralta –, la fonte di ricchezza diventa il capitale umano. Che è ricchezza naturale, espressione delle capacità, del sapere, delle competenze che i membri di una società liberata dai vincoli del vecchio capitalismo manifestano liberamente.
Nel sistema economico non più schiavizzato dal denaro immaginato da Peralta, il lavoro assume un rilievo fondamentale: non è più dominato dalla sopraffazione né limitato dalla costrizione, al contrario manifesta pienamente le potenzialità e la creatività degli uomini.
Inoltre, eliminandosi il denaro si ridimensiona e si riduce sensibilmente la competitività accrescendosi di contro la cooperazione sociale e, in genere, tutto ciò che unisce chi fa parte di un consorzio sociale, tutto ciò che tende al raggiungimento di un bene comune e che allontana dalle conflittualità. Tanto, secondo Peralta, costituisce la premessa ineludibile per la costruzione di una società felice.
Chi conosce Peralta non prova stupore dinanzi a un saggio come “La società felice” che potrebbe apparire anacronistico e che invece è espressione di un idealismo che ha già trovato forma in altri scritti dell’autore. Si pensi, soprattutto, alla silloge di poesie pubblicata da Peralta nel 2001 con un titolo rivelatore della sua personale visione dell’uomo e della società, “Soaltà”, neologismo che richiama integrandoli il sogno e la realtà, dalla quale è poi scaturita un’omonima rivista monografica.
Pertanto, ”La società felice” si presta a più chiavi di lettura: è il saggio di un poeta che, nella “follia” nemica dei rigidi razionalismi tipica dei poeti, reclama il diritto all’utopia; è una provocazione diretta contro una società capitalista che comprime i valori umani; è un libro che, paradossalmente, propone momenti di riflessioni attuali nel momento in cui il capitalismo di vecchio stampo si va trasformando lasciando il campo ad uno nuovo fondato non tanto sulla circolazione della moneta ma di titoli e azioni.
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