Carlo Levi conclude il suo “Le parole sono pietre”, un toccante viaggio nella Sicilia contadina degli anni ’50, con l’immagine di Francesca Serio: «Così questa donna si è fatta, in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre».
Francesca Serio è un nome che pochi ricordano, eppure fu la la prima donna a ribellarsi alla mafia che gli uccise il figlio sindacalista, quel Salvatore (Turiddu) Carnevale che, nei versi di Buttitta affidati alla voce del cantastorie Busacca, «ancilu era e nun avia ali/ nun era santu e miraculi facia,/ ‘n celu acchianava senza cordi e scali/ e senza appidamenti nni scinnia».
Alla vita della mamma di Salvatore Carnevale, Franco Blandi dedica un romanzo a forma di diario, “Francesca Serio”, sottotitolo “La madre”, edito da Navarra.
Rispolverare la memoria di una donna coraggiosa –Francesca Serio, appunto – espressione di una Sicilia che, pur nella sofferenza, non si rassegna e rivendica caparbiamente l’affermazione della giustizia è un atto meritorio in sé. Ma a parte ciò, Franco Blandi, direttore artistico della rassegna “Nebrodi Cinema Doc”, sebbene alla sua prima prova narrativa (aveva già pubblicato un paio di saggi), ci offre un libro ricco di sfumature, capace di coinvolgere emotivamente i lettori ma anche di rappresentare senza voli pindarici, nella loro crudezza, le realtà sociali della Sicilia in cui visse Francesca Serio. Realtà sociali connotate da connivenze tra i ceti più abbienti e la mafia e, di contro, dalle sopraffazioni subite dalle classi subalterne.
Chi scrive di libri è solito ricorrere a classificazioni schematiche che tante volte si rivelano fini a se stesse: sicché si parla di “romanzo di formazione” per qualsiasi storia che in qualche misura racconta esperienze vissute dal protagonista in più stagioni della propria vita ancorché non determinanti per la sua crescita interiore, di “romanzo storico” per qualsiasi vicenda ambientata in un determinato periodo di tempo. In questo caso, la qualificazione di “romanzo storico” è davvero calzante: “Francesca Serio” testimonia e documenta come si viveva nella Sicilia degli anni ’40 e ’50 e l’immaginazione –tipica di un testo narrativo- non altera i fatti che sono raccontati per come riportati dalle fonti (cui peraltro si rinvia a chiusura del libro).
“Francesca Serio” è perciò una sorta di “romanzo-documentario”? Sì, se si vuol porre l’accento sulla scrupolosa aderenza ai fatti della storia; no, se ciò dà l’idea di un romanzo freddo, sorvegliato nei suoi risvolti emotivi. Quello di Blandi è un romanzo ravvivato dalla passione.
Il pathos riaffiora e penetra nel racconto della vita di Francesca Serio segnata dalla sfortuna e dal coraggio sin da quando, abbandonata dal marito, lascia il suo paese, Galati Mamertino, per trasferirsi, coi fratelli e col piccolo Salvatore da accudire e far crescere, a Sciara, dove per sbarcare il lunario lavora nei campi.
Dalle pagine del diario romanzato quanto basta di Francesca Serio emerge la sua figura di madre (non a caso, come detto, richiamata nel sottotitolo): Francesca è sempre accanto al figlio nelle sue lotte contadine e nelle rivendicazioni per la riduzione dell’orario di lavoro (la giornata di un operaio durava 11 ore), e anche dopo la morte quando, vincendo ogni paura, denuncia i mafiosi e riesce a fare imbastire un processo nei loro confronti.
Il romanzo di Blandi fa rivivere Francesca Serio e quegli anni, grazie anche a una scrittura resa efficace sia dalle contaminazioni che dalle intonazioni dialettali.
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