Sono Settimo Mineo, reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli, Filippo Bisconti, reggente del mandamento mafioso di Misilmeri – Belmonte Mezzagno e Gregorio Di Giovanni, reggente del clan Porta Nuova, i capi della nuova Cupola di Cosa nostra. Emerge dall’inchiesta “Cupola 2.0” che ha portato al fermo di 46 tra boss, gregari ed estortori palermitani.
L’indagine, coordinata dalla Dda guidata da Francesco Lo Voi, ha svelato il tentativo di ricostituire la commissione provinciale ormai “in sonno” dai primi anni ’90. La commissione sarebbe tornata a riunirsi, come emerge dalle intercettazioni, alla presenza di altri “vecchi di paese”, e cioè di reggenti di mandamenti mafiosi esterni a Palermo, il 29 maggio scorso. Mineo sarebbe stato il capo, “il soggetto di maggior autorevolezza che aveva preso la parola durante la riunione e aveva chiesto a tutti gli intervenuti il rispetto delle regole spiegandone i contenuti e le modalità di esecuzione”, scrivono i magistrati nel provvedimento di fermo. A rivelarlo, non sapendo di essere intercettato, è il reggente del mandamento di Villabate Francesco Colletti che indica tra i padrini che contano Di Giovanni, detto “Revuccio” e Bisconti.
L’operazione di oggi ha sventato anche l’omicidio di un pregiudicato, “colpevole” di fare estorsioni senza l’autorizzazione di Cosa nostra, l’operazione della Dda Cupola 2.0 di Palermo che ha portato al fermo di 46 persone, tra cui 4 capimafia di rilievo, e alla scoperta della ricostituzione della “commissione provinciale”. Sono 28 i taglieggiamenti scoperti dai carabinieri che hanno effettuato l’indagine. Nove delle vittime hanno spontaneamente denunciato il racket del pizzo. Tra i settori presi di mira dagli estortori commercianti e imprenditori soprattutto nel settore delle costruzioni.
“Si è fatta comunque una bella cosa.. per me è una bella cosa questa.. molto seria… molto…con bella gente.. bella! grande! gente di paese.. gente vecchi gente di ovunque” dice il boss di Villabate Francesco Colletti, fermato oggi dalla dda di Palermo nell’ambito dell’inchiesta Cupola 2.0, non sapendo di essere intercettato parlava della rinata commissione provinciale di Cosa nostra, ricostituita dopo la morte del capomafia Totò Riina. Colletti raccontava ai suoi interlocutori che, durante la riunione del 29 maggio con gli altri capi dei clan, era stato stabilito che i contatti “intermandamentali” dovevano essere mantenuti esclusivamente dai reggenti per cui, in caso di problemi sorti all’interno di un mandamento, non potevano in alcun modo intervenire uomini d’onore appartenenti ad altra zona. “E una regola proprio la prima!… nessuno è autorizzato a poter parlare dentro la casa degli altri… siccome c’è un referente..”, diceva. Chi avesse violato la “norma” sarebbe stato allontanato dalla propria “famiglia” di appartenenza. “Dice basta che tu mi vieni qua da me e mi dici ‘lo sai è venuto uno ed è venuto a fare discorsi a Villabate… appena finiamo viene convocato… dal suo…e viene messo fuori perché ci spieghiamo le regole e non le vogliono capire… e allora prendiamo e lo mettiamo fuori subito”.
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