All’indomani delle elezioni politiche del 2018, Matteo Salvini esultava. Pur terzo nel podio delle preferenze, doppiato dal Movimento 5 Stelle (che in un anno di governo ha polverizzato quel 32,7% di consensi portati a casa nelle urne), il leader della Lega con Salvini premier poteva gioire (eccome) per aver superato nelle regioni dei collegi elettorali del Sud il Partito democratico. Terzo a livello nazionale, secondo dopo i grillini, al Sud. La spinta giusta per cominciare la sua personalissima marcia verso lo smarcamento dalle altre forze del centro destra. Cosa che la storia dell’ultimo anno ci ha portato a vedere plastificato nelle arringhe pubbliche del Capitano.

La prova regina è il contratto di programma con i 5Stelle. E a voler fare esercizio di memoria, che è sempre utile, le trattative erano cominciate ben prima lo svolgimento stesso delle elezioni politiche. Chi non ricorda – e la cattiva memoria dovrebbe essere un reato – la cena fra l’ex sottosegretario Giancarlo Giorgietti – prima che diventasse sottosegretario – e gli imprenditori Luca Parnasi e Luca Lanzalone “ingaggiatisimi” per la costruzione del nuovo stadio di Roma, riferimento dei 5Stelle in Campidoglio? Correva il gennaio del 2018, alle elezioni mancavano due mesetti e nel frattempo Salvini faceva finta di essere ancora alleato con Berlusconi e con Giorgia Meloni, seppure con evidente fastidio (soprattutto all’indirizzo del Cavaliere). Per la cronaca Parnasi e Lanzalone sono finiti sotto inchiesta e pure in manette. Per Giorgietti invece si sono aperte le porte di palazzo Chigi.

La domanda che vi starete facendo: perché rivangare queste premesse? Perché ancora oggi che dalle elezioni politiche sono passati 18 mesi e dalla “vampa d’agosto” altri tre, stiamo ancora a chiederci quali siano i motivi veri per cui Salvini abbia fatto saltare il banco. Perché si è autoescluso dal governo? E non bastano le sue dichiarazioni pubbliche a convincere nessuno – ma proprio nessuno – che il problema fosse l’immobilità del Conte I°.

Una spiegazione plausibile nei giorni scorsi è arrivata da un articolo di taglio basso nelle pagine interne nelle pagine del Corriere del Veneto. Notizia più che infrattata, insomma. E che svela l’esistenza di un sondaggio “attendibile e riservato” sulle preferenze che sarebbero state accordate alla Lega in caso di approvazione da parte del Conte primo della riforma autonomista al Nord. A raccontarlo è il professore Paolo Feltrin, politologo, collaboratore del consiglio regionale del Veneto per il quale cura l’Osservatorio elettorale. Docente di Scienza dell’amministrazione e Analisi delle politiche pubbliche all’Università di Trieste, Feltrin ha insegnato, in tempi remoti scienze politiche, anche all’Università di Catania.

Che dice Feltrin? Che la Lega avrebbe perso fra i 4 e i 5 milioni di voti nel caso di approvazione della riforma autonomista. Dove? In quelle regioni del Sud in cui era riuscito a superare il partito democratico. Troppi voti per Matteo Salvini che nel frattempo stava lavorando a rendersi completamente autonomo da Silvio Berlusconi e da quel che resta di Forza Italia e dalla “barricadera sovranista” Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. E se fosse vero si spiegherebbe la timidezza, persino il distacco con cui l’ex ministro degli interni Salvini, ha commentato lo stato delle trattative fra i governatori leghisti del suo Nord – Zaia e Fontana in primis – e il governo per quella riforma che si è definitivamente arenata.

E a poco importa la difesa d’ufficio del governatore veneto Luca Zaia che così si esprime dopo le rivelazioni di Feltrin: “Salvini ha sempre seguito i lavori per l’autonomia con partecipazione, passione e cuore. La verità è che i Grillini non l’hanno voluta e non la vogliono e questo è il vero e unico motivo per il quale non abbiamo potuto realizzarla. La Lega, alle Europee, ha avuto un consenso strepitoso al Sud, eppure gli elettori sapevano che era il partito mio e del ministro Stefani”.

Il Sud, sempre il Sud. Un po’ maniaci di egocentrismo al Sud, lo siamo. Pronti sempre a definirci laboratorio politico. Bah. Però forse per una volta aveva ragione Salvini che commentando il suo sorpasso da Roma in giù del partito democratico, all’indirizzo degli elettori aveva dichiarato, con semplicità ed efficacia “elettorale”: “Sono tutti scemi? Non credo proprio”. Se fosse vero, dunque, che il contratto giallo-verde è saltato per i voti che la Lega avrebbe perso al Sud, beh è vero, gli elettori non sono tutti scemi.

Rimane – come una piaga – il vizio di fondo: come si fa a votare un partito il cui leader – non più tardi del 2012 su Facebook, scriveva: “Bisogna aiutare di più il Sud? Ossignur…”.
Come si fa?

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