Da oggi si riparte, via alle ostilità. No, non ho alcuna intenzione di rompere il silenzio elettorale sul referendum per il taglio dei parlamentari. A proposito, fate un po’ come vi pare, votate secondo coscienza ma sappiate che non è di certo questa la strada per cambiare il Paese dalle sue radici.
Allora, di quali ostilità si parla? Ma signori, oggi riparte il campionato di calcio. Unica vera passione popolare rimasta nel nostro Paese. Se i tifosi del calcio fossero partito politico, rappresenterebbero più di 28 milioni di voti. Una maggioranza assoluta. Ma in realtà, dietro questa famelica brama di prendere a calci un pallone, si nasconde uno dei drammi economici e sociali dell’Italia alle prese con la pandemia Covid 2019.
Gli ultimi report sul mondo del calcio italiano parlano di un debito complessivo del settore superiore ai 4 miliardi di euro. Quel buco nel pallone cresce a ritmo vertiginoso di anno in anno. Il Covid 2019 ha colpito al cuore quel sogno rotolante. Il settore del calcio prevede di tornare alla normalità economico finanziaria non prima del 2025. Quanti resisteranno per altri 4 anni a una crisi di liquidità, a stadi vuoti o a scartamento ridotto e alla drastica diminuzione dei contratti tv. Perché una cosa è vendere le immagini di un derby con il contorno di un catino ribollente di bandiere, tamburi e persone, altra storia è mandare in onda immagini dove il frastuono più ingombrante è l’eco sordo di un pallone che va a sbattere sui cartelloni pubblicitari.
Incrociamo le dita e speriamo che i nostri eroi riescano a cavalcare l’onda della crisi. I segnali, però, non sono incoraggianti. La classifica delle società calcistiche italiane più indebitate è quasi la fotocopia plastica della classifica finale del campionato. Per vincere, insomma, si deve spendere e spandere come se non ci fosse un domani. Unica eccezione è il Napoli Calcio di De Laurentis, che ha i bilanci col segno verde per un centinaio di milioni di euro.
Qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di una crisi sistemica che ha colpito tutto il calcio europeo. Verissimo, ma questo non leva nulla alla gravità della crisi di un indotto industriale che per il vecchio Continente rappresenta un business annuale stimato in quasi 30 miliardi di euro, al netto di tutto il corollario di marketing e promozione.
Esiste una ricetta per salvare il mondo del calcio? E’ una crisi da non sottovalutare, perché in ballo ci sono milioni di posti di lavoro. Il punto non è salvare lo stipendio di Cr7 o di Mister Conte. Quegli appannaggi milionari, per paradosso, sono e saranno sempre al sicuro da ogni crisi. Il punto vero è cercare di capire come arriverà alla fine del mese il massaggiatore del Pizzighettone, il terzino destro della Scafatese. Perché se scompare la base del mondo del calcio, è solo questione di tempo per il collasso globale di uno sport meraviglioso, quanto folle.
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