La Corte di Assise di Palermo ha condannato a pene comprese tra 8 e 28 anni di carcere per la cosiddetta trattativa Stato-Mafia gli ex vertici del Ros Mori, Subranni e De Donno, l’ex senatore Dell’Utri, Massimo Ciancimino e i boss Bagarella e Cinà.
Entrando nel dettaglio gli ex vertici del Ros Mario Mori e Antonio Subranni sono stati condannati a 12 anni per minaccia a corpo politico dello Stato così come l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri mentre a 28 anni sempre per minaccia a corpo politico dello Stato, è stato condannato il capomafia Leoluca Bagarella.
Per lo stesso reato dovrà scontare 12 anni anche il bosso Antonino Cinà. L’ex ufficiale del Ros Giuseppe De Donno, per le stesse imputazioni, ha avuto comminata una pena di 8 anni. Massimo Ciancimino, accusato in concorso in associazione mafiosa e calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, ha avuto comminati 8 anni.
La Corte d’Assise di Palermo ha anche assolto dall’accusa di falsa testimonianza l’ex ministro democristiano Nicola Mancino. Prescritte le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca. Condannati tutti gli altri imputati.
Al dibattimento, cominciato nel 2013, erano imputati gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, i boss Antonino Cinà e Leoluca Bagarella, l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri, il pentito Giovanni Brusca, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato, Massimo Ciancimino, che rispondeva di concorso in associazione mafiosa e calunnia e l’ex ministro Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza.
Al centro del dibattimento il presunto patto che pezzi delle istituzioni, nel ’92, tramite i carabinieri, avrebbero stretto con Cosa nostra per fare cessare le stragi. Il verdetto è stato pronunciato nell’aula bunker del carcere Pagliarelli.
A rappresentare l’accusa, fra gli altri, il Pm Nino Di Matteo che su questo processo ha puntato una parte consistente della propria carriera. Nelle fasi iniziali fra gli accusatori c’era anche l’allora Pm Antonio Ingroia che ha, poi, lasciato la magistratura scegliendo la carriera politica. Una scelta che voci di corridoio sempre smentite hanno a tratti affibbiato anche allo stesso Di Matteo rimasto, invece, sempre in magistratura.
Il processo ha vissuto momenti anche particolarmente sensibili quando sono state richieste testimonianze anche all’allora capo dello Stato solo per ricordare uno dei momenti clou del procedimento.
Il collegio della corte d’assise di Palermo presieduto da Alfredo Montalto (giudice a latere Stefania Brambille) è rimasto in camera di consiglio da lunedì mattina fino a venerdì pomeriggio per decidere sui nove imputati.
Per tutti, i pubblici ministeri Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi avevano chiesto delle condanne, a vario titolo: 15 anni per l’ex generale Mario Mori, 12 per l’ex generale Antonio Subranni e l’ex colonnello Giuseppe De Donno, 12 anni anche per Marcello Dell’Utri.
Per l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, la procura aveva sollecitato una condanna a 6 anni. Una condanna era stata sollecitata anche per i mafiosi: 16 anni per Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina, 12 per Antonino Cinà.
Una richiesta dello stesso tenore era arrivata pure per l’imputato principale di questo processo, l’artefice della strategia stragista, il capo di Cosa nostra Salvatore Riina, che è morto a dicembre.
Per Massimo Ciancimino, accusato di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni Di Gennaro, la procura aveva chiesto 5 anni (la prescrizione, invece, per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa). Prescrizione anche per il pentito Giovanni Brusca.
“Sono sollevato – è stato il commentod ell’ex Ministro Nicola Mancino – è finita la mia sofferenza anche se sono sempre stato convinto che a Palermo ci fosse un giudice. La sentenza è la conferma che sono stato vittima di un teorema che doveva mortificare lo Stato e un suo uomo che tale è stato ed è tuttora”.
“Questo processo e questa sentenza sono dedicati a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e a tutte le vittime innocenti della mafia – ha detto il Pm del pool che ha istruito il processo Vittorio Teresi – è stata confermata la tesi principale dell’accusa che riguardava l’ignobile ricatto fatto dalla mafia allo Stato a cui si sono piegati pezzi delle istituzioni. E’ un processo – ha concluso – che andava fatto ad ogni costo”.
Per il Pm Nino Di Matteo “Questa sentenza, dopo cinque anni, riconosce che parte dello Stato negli anni delle stragi trattava con la Mafia e portava alle istituzioni le richieste di Cosa Nostra. Per la prima volta vengono consacrati i rapporti esterni della Mafia con le istituzioni negli anni delle stragi ed è significativo che questa sentenza abbia riguardato un periodo in cui erano in carica tre governi diversi: quello Andreotti, quello Ciampi e quello Berlusconi”.
“Non contano gli attacchi che abbiamo subito – ha aggiunto – negli anni non tutti si sono dimostrati rispettosi di un lavoro che c’é costato lacrime e sangue”.