Per un anno si è sottoposta alla fototerapia in attesa di un donatore compatibile, poi a fine aprile il trapianto di fegato all’Ismett e le dimissioni dall’ospedale appena qualche settimana dopo. Ieri il nuovo controllo, circondata dal personale medico e sanitario che è diventato ormai una nuova famiglia. È la storia di Doua, racconta da Repubblica Palermo, la bambina di tre anni arrivata un anno fa a Lampedusa con un barcone, partito dalle coste della Tunisia, dopo nove ore di traversata del Canale di Sicilia.
Affetta da una patologia ereditaria
Era insieme ai suoi genitori che hanno affrontato il viaggio con la speranza di potere salvare la figlia, affetta da Crigler Najjar, una patologia ereditaria legata a un malfunzionamento metabolico, che provoca un aumento della concentrazione di bilirubina nel sangue e che si deposita nel sistema nervoso centrale causando danni cerebrali irreversibili.
Il papà “In Tunisia non c’era soluzione”
“In Tunisia abbiamo provato – racconta il papà Haikal Derbali – ma non c’era soluzione, il trapianto di fegato pediatrico non è disponibile e non era disponibile neanche la fototerapia: c’era una sola lampada in tutto l’ospedale e andava divisa tra tutti i bambini”. Così il viaggio della speranza. A Lampedusa le condizioni della bambina – rimasta lontana dalla lampada a raggi Uv per tre giorni – sono apparse molto gravi sin da subito. I medici hanno predisposto il trasferimento di Doua e della mamma Sabah all’ospedale dei bambini di Palermo. E da lì il ricovero nel centro di alta specializzazione. Per un anno si è sottoposta alla fototerapia in attesa di un donatore compatibile, poi a fine aprile il trapianto.
“Grato all’Italia”
“Sono grato all’Italia per tutto quello che ci ha dato – dice il padre – questo è il Paese che può offrire sicurezza alla nostra bambina”. “Adesso la famiglia può condurre una vita normale – spiega Jean De Ville, il direttore del dipartimento di pediatria – Curare un bambino è curare una famiglia intera: il padre può tornare a cercare un impiego, la madre può prendersi cura anche degli altri figli”.
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