La vita, malgrado le difficoltà, è bella, anzi bellissima. Lo sostiene, con grande consapevolezza e un dolcissimo sorriso, Daniele Inzerillo, 39enne palermitano. Eppure la storia che Daniele ha alle spalle non è affatto semplice. Un percorso il suo, tortuoso ed accidentato, che tuttavia non gli ha tolto l’ottimismo con il quale affronta ogni giornata, e la gioia, per l’appunto, di vivere.
La vita è un dono prezioso e non va sprecato, e Daniele, che ha rischiato di non esserci più, lo sa bene: ha dovuto impararlo sin da ragazzino.
Oggi Daniele è un uomo dai modi gentili, si definisce “testardo, forse anche troppo”, lavora nel mondo della moda, e vive, come lui stesso dice “al cento per cento”. Ci incontriamo in un pomeriggio di sole al Molo trapezoidale di Palermo, dove davanti ad un caffè, mi racconta di sé.
Ad accompagnarlo mamma Anna e papà Roberto, protagonisti, insieme a lui, di una storia che hanno deciso di condividere perché convinti che possa essere d’aiuto a qualcun altro, e per lanciare un messaggio preciso: mai mollare, perché nella vita esiste sempre una seconda possibilità, e a volte, come nel loro caso, addirittura una terza. E poi, bisogna sempre guardarsi intorno e capire se, attraverso le nostre azioni e scelte, possiamo fare del bene.
I primi segnali della malattia
Daniele nasce in una famiglia che tratteggia come “normale, uguale a tante altre. Mamma casalinga e papà gran lavoratore, a me e ai miei fratelli Cesare e Domenico – dice – non è mai mancato nulla, e siamo sempre stati circondati da un amore immenso e incondizionato”.
Quando Daniele compie 18 mesi di vita i suoi genitori prendono in affitto per l’estate una casa ad Alcamo Marina. Una mattina Anna e Roberto si accorgono che il bimbo ha la febbre alta e gli somministrano le cure del caso. Ma la febbre dura quattro giorni e chiedono il parere di un amico, medico palermitano, che villeggia nella casa di fronte alla loro. Il medico consiglia di eseguire un esame delle urine, anche perché Anna, durante il cambio del pannolino di Daniele, nota che le urine sono più scure del solito, e si allarma. Arriva il risultato dell’esame: il bambino perde troppe proteine attraverso le urine, e questo potrebbe essere segnale di una malattia renale. Il medico dice ai genitori di Daniele di recarsi immediatamente all’Ospedale dei Bambini di Palermo, per eseguire indagini più approfondite. Daniele viene preso in carico dal reparto di Nefrologia, perché i suoi reni non funzionano, nonostante la tenera età, come dovrebbero.
“Da lì – dice Anna – è iniziato il calvario di nostro figlio. E’ stato sottoposto a innumerevoli controlli medici, ricoveri ospedalieri e day hospital. Ogni tre o sei mesi dovevamo recarci in ospedale. Ma lui ha sempre affrontato tutto con grande energia, malgrado fosse un bambino”.
“Però – aggiunge Daniele – ricordo la mia infanzia con grande piacere misto a un senso di tenerezza, non ho vissuto particolari disagi, nonostante quello che ho dovuto passare. Sono stato nel complesso un bambino un po’ timido, a volte capriccioso, molto diverso dai ragazzini di oggi.
Sino ai 13 anni ho vissuto tra scuola e casa, sempre sotto l’occhio vigile di mamma e papà, pronti costantemente, allora come adesso, a proteggermi e prendersi cura di me. Adoravo giocare alla playstation”.
La scoperta della sindrome di Alport
Quando Daniele ha 9 anni i medici decidono di sottoporlo ad una biopsia renale, per comprendere appieno i motivi dei suoi problemi di salute. Daniele infatti, soffre anche di dermatite atopica e problemi agli occhi. La diagnosi è dura da mandar giù: sindrome di Alport, una malattia genetica caratterizzata da ridotta funzionalità renale, e talvolta alterazioni della vista e sordità.
“I medici – racconta ancora Daniele – dissero ai miei genitori che la mia malattia poteva restare ‘stabile’, rendendo la mia situazione stazionaria, o degenerare, comportando la necessità di un trapianto di rene”.
Il giovanissimo paziente resta in cura all’Ospedale dei Bambini sino ai 15 anni, poi si affida all’Ismett di Palermo, Irccs specializzato nei trapianti d’organo. Anche lì alla famiglia Inzerillo viene comunicato che prima o poi Daniele avrà bisogno di un trapianto di rene.
Ma come reagisce un adolescente ad una simile notizia? La domanda appare scontata ma necessaria. “All’inizio c’è stato sgomento – ricorda Daniele – perché allora non c’era tutta l’informazione di oggi in merito ai trapianti d’organo. Ci siamo sentiti spaesati e un po’ fuori dal mondo, non sapevamo cosa fare. All’Ismett, però, sono stato preso in cura da un bravissimo nefrologo che ha rassicurato me e la mia famiglia. Ci ha parlato del trapianto di rene da donatore vivente, e così i miei genitori hanno iniziato tutti i controlli per capire chi tra loro due poteva donarmi un rene. Le indagini del caso, che ai tempi erano in numero minore rispetto ad oggi, sono durate alcuni mesi. Alla fine i medici decretarono che il donatore del mio ‘nuovo’ rene sarebbe stato mio padre, proprio lui che aveva sempre avuto paura dei camici bianchi e degli ospedali in generale!
Ha affrontato un percorso difficile, lo ha fatto per me, lo ha fatto con energia, senza ripensamenti, con piena disponibilità, con amore assoluto, con l’amore che solo un padre sa dare”.
“Mio marito – aggiunge Anna – ha acquisito la forza di un leone, la sua reazione è stata quasi inimmaginabile per chi lo conosce bene”.
Roberto si sottopone a numerosi esami per accertare la piena compatibilità tra il suo rene e Daniele, alla consulenza psicologica e a tutto l’iter necessario.
La famiglia Inzerillo si prepara al trapianto.
Il primo trapianto
Il 13 agosto 2002, all’Ismett di Palermo, viene eseguito il trapianto da donatore vivente.
“Non capivo appieno – racconta Daniele -, perché comunque ero un ragazzino, cosa significasse. Ricordo che ho vissuto con angoscia il mese precedente al trapianto, il periodo di avvicinamento all’intervento, perché non sapevo bene cosa mi aspettava dopo, era una situazione nuova, una incognita”.
Papà Roberto dona a Daniele il suo rene sinistro, e nel pensare a quel giorno di agosto di oltre vent’anni fa, ancora oggi si commuove.
“Ricordo nitidamente tutto – precisa -, persino il viso di una infermiera americana che mi disse che mi avrebbe fatto una iniezione e che avrei dormito un bel po’. Guardai l’orologio appeso al muro, erano le 7.15, poi mi anestetizzarono. Al mio risveglio mi sentii in un limbo, non ero più, ovviamente, in sala operatoria, lo compresi cercando con gli occhi quell’orologio che non c’era più. Iniziai ad avvertire i dolori post intervento, capii che era già pomeriggio e che il trapianto era stato eseguito, chiesi subito notizie di Daniele, pensavo solo a lui, ero strafelice di avergli donato il mio rene e una seconda possibilità. Provai emozioni bellissime, e oggi dico che per Daniele rifarei tutto altre cento volte. Vennero i giornalisti a intervistarci in ospedale, ma io ero e sono dell’idea di aver fatto una cosa normale, per i figli si fa tutto”.
Daniele supera le difficoltà post trapianto, che non mancano, con una tempra ammirevole. “Per alcuni mesi – specifica – è stato necessario per i medici somministrarmi massicce dosi di cortisone, ricordo che mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più”. Pian piano torna alla sua vita di sempre.
Il secondo trapianto
Il giovane cresce, va a scuola, frequenta gli amici, si afferma professionalmente e diventa un appassionato dell’allenamento fisico, tanto da recarsi in palestra regolarmente tre volte a settimana.
“Il mio nefrologo – aggiunge sorridendo – dice che sono un caso da studiare. Certo, sono in cura per i problemi alla vista e all’udito, ma affronto le mie giornate con grande energia e positività”.
Nel 2023 però, i medici si rendono conto che il rene di Daniele, non quello che gli ha donato il padre ma l’altro, non funziona. Gli prospettano la necessità di un nuovo trapianto di rene e lo inseriscono in lista d’attesa. “Eppure in quel periodo – afferma – io mi sentivo abbastanza bene. Nonostante questo, ho corso anche il rischio di andare in dialisi. Ecco, forse è stata sempre la dialisi la mia paura più grande. Conosco tanti pazienti dializzati e so quanto soffrono e quali problemi comporta avere una fistola artero-venosa nel braccio. Comunque sono giovane e ho sempre curato la mia persona anche dal punto di vista estetico, temevo molto la fistola e la dialisi ma non ho mai avuto, a dire il vero, altre paure”.
Il 24 gennaio 2024 Daniele è a casa dei suoi genitori. Alle 21.54 squilla il suo telefono, è l’Ismett.
Il giovane risponde con trepidazione, immagina già il motivo di quella telefonata.
Gli viene comunicato che è disponibile un rene per lui, e come da prassi gli vengono fornite due informazioni: l’età del donatore e la causa di morte. Daniele accetta: deve presentarsi all’Ismett alle 7 del mattino successivo.
“La notte prima del trapianto – racconta – non ho chiuso occhio. Non mi preoccupava l’intervento in sé ma il post operatorio, che è abbastanza delicato. Non mi andava di mettere la mia vita in stand by. Sapevo che per tre mesi dovevo rimanere a casa in isolamento, senza vedere gli amici, andare a lavoro o in palestra. Mi faceva paura l’idea di non vivere più la mia quotidianità”.
Alle 6.50 del 25 gennaio Daniele è già all’Ismett. La sua giornata trascorre tra varie consulenze mediche e la preparazione al trapianto. “Arrivato in ospedale – dice – le mie preoccupazioni si sono attenuate. Dopo le visite mediche ed i controlli di routine ho persino dormito in attesa che mi portassero in sala operatoria. Mi sentivo abbastanza sereno e rilassato”.
Alle 18.30 Daniele è pronto per essere sottoposto al secondo trapianto di rene della sua vita.
Saluta i suoi genitori ed entra in sala operatoria. “Di quel momento ricordo – aggiunge – che mi sono lamentato, ma in tono scherzoso, con i medici perché il letto nel quale mi trovato prima di passare al tavolo operatorio era davvero scomodo. Loro, per tutta risposta, hanno iniziato a prendermi simpaticamente in giro per i miei tatuaggi. Ne ho cinque, due dei quali ovviamente dedicati a mamma e papà”.
“Quando lo abbiamo salutato – conferma Anna – Daniele era tranquillo. Io e mio marito eravamo molto tesi invece, felici e nel contempo preoccupati. Sapere che tuo figlio dovrà subire un intervento chirurgico che durerà alcune ore è una emozione forte, e per noi, che non siamo più giovani, tutto questo ha un certo peso”.
Quando il trapianto termina, i medici rassicurano Anna e Roberto dicendo loro che è andato tutto bene, e la coppia torna a casa.
Daniele viene portato in reparto.
Alle 4.30 del mattino squilla il telefono di Anna, è una videochiamata di Daniele, che si è svegliato dall’anestesia e le dice poche parole, quelle più attese: “Mamma, ce l’ho fatta!”.
La gioia di tutta la famiglia Inzerillo è incontenibile.
Igor
La mattina dopo il trapianto Daniele si sente di buonumore. Ma da quando si è svegliato non ha fatto altro che pensare al suo donatore. Ha pochissime informazioni su di lui: sa che era un giovane di 18 anni, deceduto a causa delle conseguenze di una patologia, proprio all’Ismett.
“Appena ho acquisito totalmente la mia lucidità – racconta ancora – sono andato su Google e ho fatto delle ricerche che hanno avuto esito positivo. Ho scoperto che il mio donatore si chiamava Igor Belfiore, ed era di Acate, in provincia di Ragusa. Nei giorni successivi ho seguito sui giornali online e sui social i suoi funerali, molto toccanti: i compagni di scuola di Igor, un ragazzo meraviglioso e perbene, benvoluto da tutti nel suo paesino, all’uscita della bara dalla chiesa hanno fatto volare in cielo i palloncini, e lo hanno salutato per sempre con il rombo delle loro moto.
Poi ho scoperto anche chi era il padre di Igor ma non mi sono mai permesso di contattarlo: io non ho ancora figli ma mi metto nei panni di un genitore che ne perde uno, il dolore dev’essere atroce, viscerale”.
Passano i mesi e nel marzo 2024 l’Ismett festeggia i 3mila trapianti eseguiti. Daniele legge un post sui social e commenta cosi: “Tra quei 3mila ci sono due volte io, spero che sia l’ultima”. Scrive poi le date dei suoi due trapianti. Tramite quel post e nelle settimane successive entra in contatto con il parente di un ragazzo deceduto i cui genitori avevano autorizzato l’espianto e la donazione degli organi. Quest’uomo lo informa dell’esistenza sui social di alcuni gruppi dove donatori e riceventi d’organi si cercano a vicenda. Daniele si iscrive ai gruppi e inizia a leggere tutti i post pubblicati, e un giorno, con grande sorpresa, legge proprio un post del papà di Igor. Lui risponde con un commento al post, entrano in contatto, si scambiano i numeri di telefono. Daniele e il padre di Igor iniziano a conoscersi meglio, a raccontarsi, sino ad entrare in confidenza e a decidere di incontrarsi a Palermo.
“Quando ho incontrato i genitori di Igor – dice – ho vissuto una emozione indescrivibile. Sua madre non faceva altro che abbracciarmi e chiedermi come stavo. Ho visto una donna distrutta dal dolore, che non riesce a trovare pace per quanto accaduto ma generosa e dal cuore grande. La loro scelta di donare gli organi di Igor ha salvato la vita a me e ad altre persone. Io non potrò mai dimenticarlo”.
Chiedere a Daniele che sentimenti nutre nei confronti di Igor è naturale.
Risponde senza esitazione: “Adesso Igor fa parte di me e spero che sia così il più a lungo possibile. Purtroppo non ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscerlo e abbracciarlo, ma lo sento vicino, sempre. Lo reputo un fratello minore, perché era più giovane di me di 20 anni. I suoi genitori mi hanno parlato tanto di lui, e so che abbiamo molto in comune. Ormai Igor è entrato a pieno titolo nella mia famiglia affettiva, cioè delle persone che amo di più”.
Il domani
Non sempre la vita ha sorriso a Daniele, e osservando la sua quiete e allegria, mai si potrebbe pensare che abbia affrontato e superato tante difficoltà.
“Alla fine – afferma con determinazione – ho dovuto subire due trapianti ma sono vivo e sto bene. Dico sempre che nella vita ci sono situazioni peggiori della mia. Non potrò mai smettere di ringraziare Igor e i suoi genitori per il loro grande dono, così come non potrò mai smettere di ringraziare i miei genitori ed i miei fratelli per avermi confortato e supportato sempre. Senza il loro amore non sarei qui. Per carità, anche a me capitano le giornate storte, ma loro mi sono di grande aiuto e riescono a spazzare via presto le mie ‘nubi’. Oggi non mi manca nulla, e non parlo di cose materiali. Mi riferisco al mio universo interiore, ho imparato con il tempo a gioire delle piccole cose, a volermi bene”.
L’appello
La nostra conversazione volge al termine. Daniele fa un’ultima considerazione su quanto gli è accaduto, su Igor, sulla cultura della donazione degli organi. “Non mi sono mai vergognato della mia malattia e infatti ne parlo apertamente. Vorrei contribuire con la mia storia – conclude – a far riflettere chi magari ancora nutre qualche dubbio o remore a tal proposito. Quando viene a mancare una persona cara il dolore è enorme, dato dalla consapevolezza che non la rivedrai più. Piuttosto che far marcire i suoi organi, anche se è brutto dirlo così, è possibile donarli, donare ancora la vita a qualcun altro. Un rene può continuare a funzionare e un cuore può battere ancora.
Mi sto organizzando con gli impegni lavorativi per prendere qualche giorno di ferie. Andrò ad Acate sulla tomba di Igor a rendergli omaggio, a portargli un fiore. Gli dirò ancora una volta grazie, come dico grazie alla vita, ogni giorno”.
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