“Non sono mai stato ritenuto affatto colluso con la mafia dalla sentenza che ho subito”. Lo dice all’ANSA l’ex governatore della Sicilia, Totò Cuffaro, che sostiene la candidatura a sindaco di Palermo di Roberto Lagalla.
“I processi celebrati sono stati due”, puntualizza. “In tutti e tre gradi di giudizio relativi al processo per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa – afferma Cuffaro – è stato escluso che sia stato legato da un rapporto collusivo con la mafia perché i giudici hanno ritenuto inesistente il patto di natura politico-mafiosa o di scambio elettorale con l’organizzazione mafiosa di cui ero stato infondatamente accusato”. (ANSA).
Cuffaro spiega di tornare “sui fatti relativi ai processi” per “ristabilire la verità storica e processuale della vicenda giudiziaria” dopo “l’inaccettabile e crescente disinformazione non più tollerabile” delle cronache di questi giorni. Per l’ex governatore, ora commissario della Dc Nuova, la sentenza “col sigillo della Corte di Cassazione” dovrebbe indurre “i detrattori a porre fine all’insopportabile travisamento della realtà cui abbiamo assistito ormai da settimane, perché non corrisponde al vero né alla realtà processuale che sia stato ritenuto in rapporto organico con la mafia”.
Riguardo alla condanna definitiva e alla pena che ha scontato a Rebibbia, Cuffaro dice: “E’ legata al solo favoreggiamento personale che mi è stato contestato nei confronti dell’amico Mimmo Miceli e soltanto indirettamente nei confronti di Giuseppe Guttadauro, col quale quest’ultimo si relazionava”. L’ex governatore sottolinea che per i giudici la sua responsabilità “per tale singolo fatto sarebbe consistita, sotto il profilo del dolo eventuale, che allorquando, secondo l’accusa, avrei avvertito Miceli dell’esistenza d’indagini nei suoi confronti, quest’ultimo lo avrebbe poi riferito a Guttadauro in ragione delle loro frequentazioni”. E “poichè Guttadauro all’epoca dei fatti era ritenuto un soggetto compromesso col sistema mafioso – prosegue Cuffaro – il favoreggiamento imputatomi avrebbe assunto una forma ‘aggravata’ proprio per tale ragione poiché si è ritenuto che ne sarebbe rimasta avvantaggiata anche l’organizzazione mafiosa”.
“Ma un fatto del tutto episodico, così come ricostruito – afferma Cuffaro – con questa peculiare caratterizzazione, non può autorizzare alcuno a ritenere che da esso siano emersi gli elementi di una collusione con la mafia perché non ho mai avuto alcun contatto né con Guttadauro nè con nessun altro esponente dell’organizzazione mafiosa”. “Tra l’altro – conclude – l’impostazione accusatoria che ha generato la mia condanna non aveva convinto unitamente tutti i giudici che si sono occupati del processo, tanto ciò è vero che di fatti il Tribunale non aveva ritenuto aggravata la condotta di favoreggiamento, così come avvenuto successivamente nel giudizio di Cassazione da parte del procuratore generale, che invero aveva chiesto l’annullamento della sentenza di condanna”.