Fra tasse, contributi previdenziali e burocrazia le imprese siciliane sopportano un costo annuo di 301 milioni di euro. Lo spread burocratico fiscale, la stima della maggior spesa sostenuta dal tessuto produttivo rispetto alla media Ocse per espletare gli adempimenti burocratici, rappresenta per il totale delle 273.375 imprese che operano sul territorio regionale una vera zavorra, mentre cercano di mantenere il passo con gli altri competitor nazionali e stranieri.
Nella nostra regione questo extra costo fiscale nel 98% dei casi grava su micro e piccole imprese con meno di 20 addetti e per quasi un quarto (23, 7%) sulle imprese artigiane, che sostengono costi fino a 71 milioni di euro. Ad evidenziare il persistente peso burocratico fiscale a svantaggio delle imprese siciliane è un’elaborazione dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Sicilia su dati Istat e Banca Mondiale, il cui focus si è basato sul confronto internazionale disponibile in Doing Business 2016 della Banca Mondiale che rileva appunto l’ampio gap burocratico fiscale a danno delle imprese del Paese e dell’Isola in particolare.
Prendendo a riferimento il tempo necessario per pagare le imposte, si osserva che sono necessarie 269 ore per pagare le imposte in Italia, il 34,3% in più della media Ocse di 177 ore. Tempi biblici pure le 63.301 piccole e medie imprese artigiane della Sicilia. Per loro 270 ore, circa 10 giorni su 365, perse a correre dietro a fisco e burocrazia che si trasformano in una perdita (da mancati ricavi e costi aggiuntivi) vicina ai cento milioni di euro per l’intera Sicilia.
«È come partire per una competizione, azzoppati e senza un braccio e questo è un male innanzitutto per il Paese- commenta il presidente di Confartigianato Imprese Sicilia, Filippo Ribisi-. Ogni artigiano sperimenta sulla sua pelle tutti i giorni l’impegno scientifico da parte dello Stato e della Regione a ostacolare la voglia di fare impresa nell’Isola. Da anni ci battiamo cercando di sensibilizzare la classe politica ad impegnarsi con interventi precisi e mirati a ridurre balzelli, studi di settore e burocrazia che gravano sull’attività delle imprese finendo per avere drammatiche ripercussioni anche sull’occupazione».
Uno spread burocratico fiscale per adempiere alle scadenze delle tre maggiori tipologie di tasse — quella sul reddito d’impresa, l’Iva e i contributi sociali sul lavoro – che, nel solo 2015, è costata 138 milioni di euro alle imprese di Palermo e Catania (rispettivamente 69 milioni per le imprese del capoluogo e 69 milioni per quelle catanesi). Seguono le imprese di Messina con 43 milioni, Trapani 27 milioni, Agrigento 25 milioni, Siracusa 22 milioni, Ragusa 21, Caltanissetta 15 ed Enna 9 milioni.
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