I dipendenti di Sviluppo Italia Sicilia hanno scritto una lettera aperta di denuncia circa la grave situazione che sta attraversando la loro società. La missiva, di cui riportiamo il testo integrale, è un atto di accusa nei confronti della Regione siciliana.
“Questa mattina ci siamo svegliati e ci siamo accorti che l’incubo nel quale eravamo piombati era meno terribile della realtà. Questa mattina ci siamo svegliati e ci siamo accorti che la nostra Regione, il nostro socio al 100%, ha dato in gestione i NOSTRI fondi di Garanzia Giovani ad INVITALIA, società del MISE che con i NOSTRI soldi, soldi della Sicilia, pagherà gli stipendi dei suoi dipendenti.
Questa Regione ha SCELTO di affidare ad ALTRI il fondo per giovani disoccupati sulla creazione d’impresa, il NOSTRO lavoro da 16 anni a questa parte. Oggi abbiamo deciso di uscire dal silenzio nel quale ci eravamo rifugiati, continuando a lavorare e a fare il nostro dovere pur avendo circa 8 mensilità di stipendi arretrati, del resto da sempre Noi lavoriamo con le aziende private e fermare il nostro lavoro ora equivarrebbe a mettere in seria difficoltà gli imprenditori locali, la gente con la quale da anni noi lavoriamo fianco a fianco.
Ma tacere adesso non ha più senso – continuano i dipendenti – tacere e subire non è più possibile soprattutto quando chi dovrebbe programmare al meglio le proprie risorse economiche e umane decide deliberatamente, andando persino contro la legge, di prendere il nostro lavoro e “delocalizzarlo”, e tutto questo non per ottenere un risparmio economico, ma per ignavia nella migliore delle ipotesi o più probabilmente per garantire lobbies e interessi che pesano più della vita e del lavoro di 76 persone, siciliani formati e qualificati per svolgere quello stesso lavoro.
Oggi questo governo e l’Assessore, che in questa squadra gioca a fare lo straniero, hanno deciso di condannarci ad una lenta ed inesorabile agonia, continuando a fare scelte incomprensibili e a non dare un indirizzo preciso ad una società che, a differenza delle altre è entrata nel novero delle partecipate da soli 8 anni e che fino a quando non è stata acquistata da questa Regione non aveva mai avuto un bilancio in perdita, facendo ipotizzare dunque un effetto Re Mida al contrario. Per una volta, ci piacerebbe che la responsabilità di ciò che è successo in questi anni venisse data a chi realmente ce l’ha: la Regione Siciliana, per le sue scelte mancate e i diversi Consigli d’Amministrazione, complici, e quindi altrettanto responsabili.
Ci domandiamo se sia giusto sacrificare un’esperienza come la nostra, se sia giusto non guardare i risultati tangibili e misurabili che la nostra società ha raggiunto sul territorio siciliano, se sia giusto privare la Sicilia di risorse e competenze che in questi anni hanno concretamente contribuito a creare centinaia di piccole imprese e alcune bellissime realtà d’eccellenza (ci riferiamo alla ormai famosa MOSAICOON S.p.A. e alla meno famosa, ma altrettanto di successo, TECHLAB WORKS di Catania).
Ci domandiamo come può una Regione come la Sicilia apprestarsi ad affrontare il periodo di programmazione comunitaria 2014-2020, stanziando circa un miliardo di euro sulla creazione di impresa e decidere contemporaneamente di disfarsi di una società come Sviluppo Italia Sicilia che, da 15 anni ormai, fa questo di mestiere con risultati concreti. Ci domandiamo come mai l’attenzione di tutti sia altissima, se si trattano temi che coinvolgono pezzi non produttivi di questa Regione, anche se numericamente rilevanti, e non si riesca invece in alcun modo a coinvolgere nessuno se l’argomento è lo sviluppo del nostro territorio e le risorse economiche e UMANE per realizzarlo.
Porre fine all’esperienza di Sviluppo Italia Sicilia è una scelta miope – concludono i lavoratori – significa indebolire la Sicilia privandola di esperienze e competenze da anni al servizio del territorio, e non determinerebbe per questa nostra Regione alcun risparmio, perché l’attività che oggi viene svolta da 76 siciliani dovrà essere necessariamente data ad un’altra società, come la tristissima realtà di oggi conferma, che certamente paga le tasse in un’altra regione. Porre fine all’esperienza di Sviluppo Italia non ha nulla a che vedere con la spending review.
Il nostro atto d’accusa è facilmente riscontrabile e ci auguriamo che qualcuno voglia ragionare senza preconcetti sulle poche righe che abbiamo scritto”.