L’eco dello stupro di gruppo al Foro Italico di Palermo, continua a riverberare nelle vite di coloro che sono stati coinvolti, direttamente o indirettamente. Mentre il processo si avvia verso la fase d’appello, le madri di tre dei sette imputati, Loredana Mamone, Ornella Valenti e Francesca Mortillaro, madri rispettivamente di Gabriele Di Trapani, Angelo Flores e Christian Maronia, rompono il silenzio. Dopo mesi di insulti, minacce e un’opprimente pressione mediatica, decidono di raccontare la loro versione dei fatti, un racconto intriso di dolore, speranza e la ferma convinzione che i loro figli, pur avendo commesso degli errori, non siano i “mostri” dipinti dall’opinione pubblica. Un anno e mezzo di silenzio, caratterizzato da sofferenza e sgomento, durante il quale hanno assistito impotenti al processo mediatico che ha travolto le loro famiglie.
Le tre donne, con voce rotta dal pianto, non negano la gravità delle azioni dei figli. “Non si fa sesso di gruppo per strada”, ammettono con fermezza, “certe cose le fanno gli animali”. Riconoscono l’errore, il comportamento inaccettabile, la mancanza di rispetto. Tuttavia, respingono con forza l’etichetta di “stupratori” affibbiata ai loro figli. Sono convinte che la verità processuale non coincida con la realtà dei fatti e confidano che il processo d’appello possa fare chiarezza, ridimensionare le accuse e dimostrare l’innocenza dei ragazzi. “Quando tutto sarà finito”, promettono con sguardo determinato, “riceveranno la nostra punizione di madri, ma una punizione giusta, proporzionata alle loro reali responsabilità”.
Al centro della loro ricostruzione, la questione del consenso. Le madri sostengono che la ragazza fosse consenziente e che la scelta di filmare l’atto fosse stata condivisa. Ornella Valenti, madre di Angelo Flores, ribadisce che il figlio ha consegnato spontaneamente il video alle autorità: “Mio figlio ha subito sbloccato il telefonino e consegnato il video ai carabinieri. Esiste un altro video in cui ha rapporti consensuali con la ragazza, e mi ha detto che era sempre lei a chiedere di filmare”. Francesca Mortillaro, madre di Christian Maronia, si aggrappa alle parole del figlio: “Mi ha raccontato tutto quello che è successo quella notte, e io gli credo. Non avrebbe mai fatto del male a nessuno”. Una versione che si scontra con le intercettazioni e le testimonianze presentate dall’accusa, ma che le madri difendono con strenua convinzione.
Loredana Mamone, madre di Gabriele Di Trapani, rivive l’angoscia del giorno dell’arresto: “In quel momento ho odiato mio figlio. Mi dicevano che c’era un video, che era tutto documentato. Ero confusa, frastornata”. Ma dopo aver parlato con Gabriele, aver ascoltato la sua versione, aver consultato l’avvocato, la sua percezione è cambiata: “Ora sono convinta che un giorno sarà dichiarato innocente, ma nel frattempo il carcere gli avrà insegnato qualcosa? Questa è la mia paura, che questa esperienza lo cambi, lo segni per sempre”. Un timore condiviso dalle altre madri, la preoccupazione che il carcere, anziché riabilitare, possa indurire i loro figli, trasformarli in uomini peggiori.
Prima di essere travolti da questa vicenda, i ragazzi conducevano una vita normale. Gabriele studiava al Nautico, Christian aiutava i genitori nel negozio di frutta e verdura e nella panineria, Angelo lavorava per una ditta di marmi. Ora il loro futuro è incerto, ipotecato da una pesante condanna. Francesca Mortillaro racconta che Christian ha una fidanzata che lo aspetta, che non ha mai smesso di credere in lui: “È una ragazza forte, innamorata. Anche lei è convinta della sua innocenza”. Le madri ricordano le difficoltà incontrate nel trovare un avvocato disposto a difendere i loro figli, il muro di diffidenza e pregiudizio che hanno dovuto affrontare. Ornella Valenti descrive l’inferno delle minacce sui social: “Hanno pubblicato le mie foto, quelle dei miei altri figli, mi hanno insultata, minacciata. Un odio immotivato, violento”. Ora percepisce un cambiamento nel clima generale, una maggiore comprensione, ma le ferite restano profonde.
Le madri non chiedono clemenza, ma giustizia. Chiedono che venga ascoltata la loro versione, che si considerino tutti gli elementi a disposizione, che si vada oltre le facili conclusioni e i pregiudizi. Sperano che il processo d’appello possa ristabilire la verità, ridare ai loro figli la possibilità di ricostruirsi una vita. “I nostri figli hanno sbagliato”, ribadiscono, “ma non sono mostri. Meritano una seconda possibilità”.