Il reato “non può ritenersi integrato dal punto di vista giuridico dal momento che l’imputato rendeva false informazioni alla polizia giudiziaria e non al pubblico ministero” e “non ci sono elementi per sostenere” che con le sue affermazioni “abbia potuto (e voluto) favorire o calunniare qualcuno”. Lo scrive il Gip di Grosseto, Alberto Lippini, accogliendo la richiesta di archiviazione della Procura dell’inchiesta per false informazioni al Pm nei confronti di Paolo Gruosi, un collega di Mario Alberto Dettori, il maresciallo dell’aeronautica di stanza a Grosseto che fu trovato impiccato ad un albero in una piazzola sulla strada delle Santae Mariae il 30 marzo del 1987.
Tanti lati ancora oscuri
Dettori la notte della strage dell’Itavia a Ustica era in servizio alla base di Poggio Ballone come radarista. Era quindi potenzialmente uno dei testimoni diretti dei fatti che portarono all’abbattimento del dC9 Itavia. La sentenza è stata resa nota dall’associazione antimafie Rita Atria che, con la famiglia Dettori, si era opposta all’archiviazione con l’avvocato Goffredo D’Antona del foro di Catania che aveva ipotizzato i reati di favoreggiamento personale e calunnia. “Il collega di Dettori davanti a più persone – si legge nel documento dell’associazione – riferì che, secondo lui, non si era suicidato visto come era stato trovato impiccato. E per spiegare meglio quanto dichiarato fece pure un disegno che consegnò alla famiglia. Indicato come persona informata sui fatti, successivamente, negò queste circostanze davanti la polizia giudiziaria. Adesso un giudice statuisce che questa persona ha reso false dichiarazioni, ma non è punibile per questioni tecniche processuali”.
Non c’è ancora la verità
“Al dì la di queste valutazioni – sottolinea l’associazione antimafia Rita Atria – emerge ancora una volta che non tutti hanno detto la verità sulla morte di Mario Alberto Dettori. Questa archiviazione non mina in alcun modo, anzi rafforza, l’impegno della famiglia Dettori assieme all’associazione antimafie Rita Atria, finalizzato a far luce su una delle pagine più buie della Repubblica”.
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