I carabinieri della compagnia Palermo Piazza Verdi hanno arrestato un uomo e denunciato un secondo accusati di spaccio di droga. Il primo un palermitano di 30 anni è stato bloccato dai militari della stazione Centro in via dei Frangiai con 10 grammi tra cocaina, crack e marijuana suddivisa in dosi. Insieme a lui un acquirente che è stato segnalato alla prefettura. Il gip di Palermo ha convalidato l’arresto.
Un secondo intervento in via Trappetazzo. Qui i militari della stazione piazza Marina grazie al fiuto del cane Ron hanno trovato in un magazzino 20 grammi di droga e 350 euro. Un uomo di 40 anni è stato denunciato.
La Polizia di Stato ha sgominato una banda che, a Brancaccio, spacciava dosi di crack e hashish, a tutte le ore del giorno e della notte, anche a domicilio e su ordinazione ed anche con riguardo a richieste provenienti dalla provincia.
I poliziotti del Commissariato di P.S. “Brancaccio” hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare nei confronti di 10 persone: applicando nei confronti di 2 la custodia cautelare in carcere, nei confronti di altri 4 la custodia cautelare degli arresti domiciliari e nei confronti dei rimanenti 4 la misura dell’obbligo di presentazione alla pg. Tutti dovranno rispondere del reato di detenzione ai fini di spaccio in concorso.
Nel corso dell’operazione a Brancaccio come disposto dal gip di Palermo sono finiti in carcere Gianpiero Di Mariano nato a Sesto San Giovanni, 51 anni, Emanuele Imbrocè, 46 anni di Palermo. Ai domiciliari Arcangelo Traina, 35 anni, di Palermo, Samuele Calafiore, 25 anni di Palermo, Filippo Genova, 20 anni, Maria Carrara, 57 anni di Palermo.
Il giudice ha disposto l’obbligo di presentazione alla pg per Pasquale di Mariano, 33 anni, di Palermo, Santina Castiglione di 50 anni, Giuseppe Sella di 29 anni di Palermo e Fabrizio Utro, di 60 anni.
Le indagini sono scattate nei mesi di febbraio e marzo scorso. I poliziotti hanno documentato le cessioni di droga attraverso tradizionali servizi operativi su strada e servizi di videosorveglianza. La base operativa dell’organizzazione era rappresentata da un appartamento al piano terra, residenza di un uomo al vertice del gruppo e che in quello stabile stava scontando una pena in regime di detenzione domiciliare, alternativo al carcere. Il “capo” nel corso delle operazioni di consegna delle dosi agli assuntori che, a decine giornalmente, giungevano sulle soglie della sua abitazione, si faceva coadiuvare sul momento dalla moglie e figlio.
Attorno c’erano pusher fidati che garantivano le consegne per tutto il giorno anche in comuni limitrofi. Due i canali di approvvigionamento: il primo una donna, anche lei finita nell’inchiesta, il secondo, più strutturato, composto da alcuni pregiudicati del quartiere Falsomiele.
Nel corso dei servizi d’intercettazione più volte è stato ascoltato come gli indagati abbiano utilizzato termini convenzionali per riferirsi al tipo di stupefacente da spacciare, come per esempio “di giorno” e “di notte”, per indicare, rispettivamente, la cocaina e il crack, oppure “quella da fumare”, intendendo con la stessa il crack, per via del fatto che questo tipo di droga viene assunto inalando il fumo dopo aver surriscaldato i cristalli in apposite pipette, ovvero oggetti costruiti artigianalmente da bottiglie di plastica modificate o con lattine. Tra gli altri termini utilizzati sono stati impiegati anche quelli di “minuto” e “minuti”, riferiti, rispettivamente, ad una singola dose o più, ma anche quello di “panini”, chiaro riferimento ai panetti di hashish.