Palermo

“Sono Matteo Messina Denaro”, il film di una giornata consegnata alla storia della guerra alla mafia

Orologio da 35mila euro un Franck Muller da intenditore, montone griffato ma poi un cappellino che stona con tutto il resto dell’abbigliamento. Si presentava così’ Andrea Bonafede, il benestante malato di cancro che ormai conoscevano tutti alla clinica La Maddalena dove si curava. Si presentava con fare gentile ma il suo vero carattere è emerso quando i carabinieri lo hanno bloccato,  “Mi chiamo Matteo Messina Denaro”, dice arrogante al carabiniere del Ros che sta per arrestarlo. Ma lo fa solo quando capisce che negare, ormai, sarebbe inutile.

Finita la latitanza del boss

E’ finita così, ieri mattina la latitanza trentennale della primula rossa di Castelvetrano, in manette alle 8.20  mentre stava per iniziare la seduta di chemioterapia nella clinica Maddalena fra le più note della città. Quando si è reso conto d’essere braccato, ha accennato ad allontanarsi ma non una è stata una vera e propria fuga visto che decine di uomini del Ros, armati e col volto coperto, avevano circondato la struttura.

Palermo ringrazia

I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, si sono resi conto solo dopo di quanto era accaduto e hanno applaudito i militari ringraziandoli. Stessa scena fuori dalla caserma Dalla Chiesa, sede della Legione, dove nel pomeriggio il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, l’aggiunto Paolo Guido, il generale del Ros Pasquale Angelosanto e il comandante palermitano del Raggruppamento Speciale Lucio Arcidiacono hanno tenuto una conferenza stampa.

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Una piccola folla ha atteso i pm e mostrato uno striscione con scritto: “Capaci non dimentica”. In mattinata in Procura era arrivata la premier Giorgia Meloni che ha voluto incontrare i magistrati per congratularsi con loro. “Siamo orgogliosi di un risultato costato tanta fatica”, dicono i pm che sottolineano come si sia trattato di una indagine tradizionale. Nessun pentito, nessun anonimo. Messina Denaro è stato preso grazie alla stessa strategia che portò all’arresto del boss Bernardo Provenzano. Prosciugare l’acqua attorno al latitante, disarticolando la rete dei favoreggiatori. Favoreggiatori anche eccellenti: “una fetta della borghesia lo ha aiutato”, dice il procuratore de Lucia.

L’errore dei favoreggiatori che ha portato all’arresto

E’ accaduto questo. E i familiari del boss stretti dalla morsa degli investigatori alla fine hanno fatto l’errore fatale. Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del capomafia. L’inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, si è riusciti a stilare una lista di pazienti sospettati. Un nome ha fatto saltare sulla sedia gli inquirenti: Andrea Bonafede, parente di un antico favoreggiatore del boss. Avrebbe un anno fa subito un intervento al fegato alla Maddalena. Ma nel giorno in cui doveva trovarsi sotto ai ferri, hanno scoperto i magistrati, Bonafede era a casa sua a Campobello di Mazara. E allora il sospetto che il latitante usasse l’identità di un altro si è fatto forte. La prenotazione di una seduta di chemioterapia a nome di Bonafede, per stamattina, ha fatto scattare il blitz.

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Trasferito in una località segreta

Messina Denaro, trasferito subito in una località segreta, sarà destinato ad un carcere di massima sicurezza, un istituto che gli possa permettere di seguire le sue cure, come ad esempio Parma, dove già furono reclusi Riina e Provenzano: la premier parla di regime di “carcere duro” e il procuratore de Lucia scandisce che le condizioni del boss “sono compatibili col carcere”.

Si apre l’inchiesta sulla zona grigia delle connivenze

Ma le indagini non si sono fermate con l’arresto. Perquisizioni per ore nel Palermitano ma anche e soprattutto nel Trapanese: Castelvetrano e Campobello di Mazara vengono setacciate palmo a palmo. Gli inquirenti cercano e sarebbero ad un passo dal covo. Quel nascondiglio che avrebbe ospitato il boss negli ultimi mesi e potrebbe custodire i segreti dell’ex primula rossa di Cosa nostra che, dicono i pentiti, avrebbe conservato il contenuto della cassaforte di Totò Riina portata via dalla casa di via Bernini, mai perquisita.

Intanto il medico di Campobello di Mazara, Alfonso Tumbarello, che risulta essere il dottore di medicina generale che aveva in cura Andrea Bonafede, alias Matteo Messina Denaro, è stato convocato in caserma dai carabinieri dov’è stato interrogato. Tumbarelllo aveva stilato una diagnosi per l’accesso di Andrea Bonafede all’Oncologia della clinica La Maddalena, a Palermo, dopo l’operazione che il boss aveva subìto nell’ospedale di Mazara del Vallo. Gli investigatori vogliono capire quali sono stati i passaggi che hanno portato il boss latitante da lui e quando sono cominciati i loro rapporti. Messina Denaro avrebbe presentato anche a lui la carta d’indentita e la tessera sanitaria intestate a Andrea Bonafede. Un soggetto fragile tanto che aveva ricevuto perfino tre dosi di vaccino anti Covid19

La rabbia della Meloni per i sospetti su una trattativa

In serata, dopo aver letto di voci e sospetti sulla possibilità che l’arresto del super-boss sia avvenuto attraverso modalità torbide e concordate con lo Stato, la premier attacca per frenare sul nascere questi veleni: ma quale trattativa? esplode Giorgia Meloni intervistata da Rete 4. “Non c’è bisogno di mettersi d’accordo con la mafia per batterla”, aggiunge. Basta “autoflagellarsi”, basta cultura del sospetto e dietrologie: “ci sono quelli che stanno facendo complottismo, magari per attaccare il governo, perché l’obiettivo è sempre il tema della politica. Ma ci sono delle materie in cui la politica dovrebbe passare in secondo piano. Oggi una cosa è andata bene e qualcuno lo deve dire”. Anche perchè, è l’osservazione finale, Matteo Messina Denaro si trova ora al carcere duro grazie al nostro governo perchè abbiamo salvato il carcere ostativo

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