Dal 1987 al 2016 il programma Erasmus ha consentito a quasi quattro milioni di studenti universitari di studiare in un Paese Ue diverso dal loro. E rispetto a qualche anno fa, il loro numero cresce a un ritmo di un milione di studenti ogni tre anni. Sono alcuni dei dati emersi nel corso di un’iniziativa dedicata al progetto Erasmus, organizzata dall’Ersu a Palermo, con l’ideatrice del programma Sofia Corradi, e madre di quella che oggi viene ribattezzata “generazione Erasmus”, perché, se nel 1987 il Programma ha ottenuto il varo ufficiale dell’allora CEE, oggi UE, lo si deve soprattutto alla sua tenacia e lungimiranza.
Il programma consente agli studenti di frequentare uno o due semestri di studio in un’università di un Paese diverso dal proprio col riconoscimento dei crediti conseguiti all’estero e dunque senza ritardare la laurea, favorendo la conoscenza reciproca e l’interazione tra culture e quindi il processo di integrazione europea, uno dei pilastri fondativi dell’Unione. Il programma europeo, quattro anni fa, è stato ampliato e potenziato(diverse sue azioni sono state estese a tutti i continenti ed attività lavorative, ndr) e ribattezzato “Erasmus Plus”. Nonostante la crisi economica, poi, lo stanziamento europeo è aumentato del 45 percento: per il settennio 2014-2020, infatti, ammonta a circa 15 miliardi di euro.
“Questo progetto – ha detto Corradi – è nato dalla mia arrabbiatura di studentessa, dopo un anno di studio alla Columbia University di New York (dove era stata con una borsa Fullbright, ndr)”. Correva l’anno 1958 “ingiuriosamente mi era stato negato – ha aggiunto – il riconoscimento di un anno di studio fatto all’estero come se la Columbia University fosse un paradiso fiscale dove un titolo o una laurea non la negano a nessuno”. “Mi era stato detto che me ero andata a spasso per il mondo a divertirmi e di andare a casa a studiare e vedere di farmi promuovere”.
Era l’ultimo dei problemi – ha continuato – che avevo nella vita: prendevo sempre 30 e lode”. “Quando poi mi sono laureata – ha detto ancora – mi offrivano il lavoro perché a quei tempi ero l’unica che aveva avuto questa esperienza e perché i datori di lavoro ritenevano che chi avesse quell’esperienza rendesse di più”. “Ho dovuto lottare e insistere per 18 anni, poi l’Erasmus ha preso vita – ha concluso – E quando sento un ragazzo affermare ‘a me l’Erasmus mi ha cambiato la vita, mi viene voglia di abbracciarlo'”
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