La Corte d’appello di Palermo ha confermato il giudizio in primo grado del Tribunale del capoluogo siciliano che ha ritenuto discriminatoria la condotta di Social Food nei confronti del rider Fabio Pacer, militante di Nidil Cgil Palermo, assistito anche dalla Filcams e dalla Filt, per la sua adesione a una organizzazione sindacale diversa a quella firmataria dell’accordo stipulata da Assodeliver con Ugl.
L’udienza si è svolta il 23 settembre scorso. E ieri è stata emessa la sentenza.
Fabio Pace, che a giugno 2020 era stato sospeso dai turni di lavoro, aveva dissentito dalla sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro regolamentato da un contratto collettivo sottoscritto dall’Ugl e non riconosciuto dalla sua organizzazione sindacale, Nidil Cgil. Dopo la sospensione, aveva deciso di fare causa all’azienda.
La vicenda ha avuto grande rilievo nazionale. Il ricorso è stato depositato nel gennaio 2021 e presentato da Nidil Cgil assieme alle altre due categorie coinvolte del commercio e dei trasporti, la Filcams Cgil Palermo e la Filt Cgil Palermo. A difesa del rider, una squadra di avvocati, Giorgia Lo Monaco, legale di Nidil Cgil Palermo, Carlo De Marchis Gomez, della Filcams Cgil nazionale, Matilde Bidetti, di Nidil Cgil nazionale, e Sergio Vacirca della Filt Cgil nazionale.
Ad aprile la prima sentenza a favore del rider. Adesso, anche la Corte di Appello, sezione controversie di lavoro, ha ribadito che Social Food ha compiuto un atto di discriminazione di carattere sindacale nei confronti del rider e ha dichiarato illegittimo il recesso, ante tempus, attuato dall’azienda, del contratto di lavoro in corso di svolgimento.
“Questa sentenza, che accogliamo con estremo favore, ribadisce il diritto del lavoratore Fabio Pace al dissenso, e quindi a non sottoscrivere un contratto di lavoro che aderisce alla regolamentazione tra Assodelivery e Ugl che, come più volte da noi ribadito, è una organizzazione non rappresentativa di tutti i lavoratori – dichiara il segretario generale Nidil Cgil Palermo Andrea Gattuso – A quasi un anno dall’applicazione dell’accordo, le condizioni di lavoro dei rider delle piattaforme aderenti ad Assodelivery, Glovo, Deliveroo, Uber Eats e Social Food, sono nettamente peggiorate, sia dal punto di vista dei guadagni che dal punto di vista dei diritti e dell’ attività quotidiana”.
Oggi a commentare positivamente è tutta la Cgil, con le sue categorie interessate. “Esprimiamo grande soddisfazione per questa duplice vittoria – affermano i segretari generali di Filcams Cgil Palermo Giuseppe Aiello e di Filt Cgil Palermo Gaetano Bonavia – Fabio Pace è stato sottoposto a una palese discriminazione, come confermano ormai due sentenze. Speriamo che questa decisione consenta di migliorare finalmente le condizioni di lavoro dei rider. La sentenza di fatto conferma l’importanza dell’attività sindacale svolta dai nostri delegati aziendali a tutti i livelli”.
“La Corte, più in generale – spiega l’avvocato Giorgia Lo Monaco – ha ritenuto che Social Food ha effettivamente compiuto un atto di discriminazione indiretta, nella misura in cui ha prospettato ai lavoratori, ove non acconsentissero alla sottoscrizione del nuovo contratto, quale unica alternativa, l’immediata risoluzione del contratto in corso di esecuzione. Si legge ancora nella sentenza che si è trattato, infatti, a ben vedere, di una condotta che ha fortemente coartato la libertà negoziale dei collaboratori, costringendoli, di fatto, ad accettare le nuove condizioni contrattuali, a pena di perdita del rapporto di lavoro”.
“Adesso ci auguriamo – aggiunge Andrea Gattuso – che questa ennesima conferma da parte della Corte d’Appello di Palermo spinga anche le istituzioni, a partire dal governo, a cancellare l’assurdo dualismo che si è generato con l’uscita di Just Eat dal cartello di Assodelivery, generando una situazione in cui per lo stesso lavoro, nello stesso paese, l’ talia, si lavora con due regimi diversi, lavoro subordinato e lavoro autonomo”.
A conclusione del processo Social Food è stata condannata alla corresponsione in favore del rider, a titolo di risarcimento del danno conseguente all’illegittimo recesso, di un importo pari alle retribuzioni che lo stesso avrebbe percepito dalla data del recesso sino alla naturale scadenza del rapporto, nonché al risarcimento del danno non patrimoniale, dipendente dalla condotta discriminatoria.